“Per ciò che concerne invece la società Pallacanestro Varese, si ritiene congrua ed equilibrata rispetto alla violazione commessa, non già la automatica retrocessione nella serie inferiore per l’anno sportivo 2023/2024, come richiesto in via principale dalla Procura federale, bensì, tenuto conto del principio della afflittività, ed alla luce del danno di immagine causato all’intero movimento cestistico nazionale, la penalizzazione di 16 punti in classifica da scontarsi nella stagione sportiva in corso, che, tenuto conto della posizione in classifica della squadra, rappresenta la sanzione minima che possa con certezza determinare l’esclusione della squadra dalla disputa dei play off“.
Questo è uno dei passaggi chiave e finali delle motivazioni della sentenza che ha inflitto 16 punti di penalizzazione alla Pallacanestro Varese per il caso Tepic. Poche righe, nelle quali si legge come il comportamento della società biancorossa abbia causato un grave danno d’immagine a tutto il movimento cestistico nazionale. Bene, senza entrare nel merito della sentenza, una domanda ci sorge spontanea: può una squadra così bella, con un pubblico così caldo e appassionato, capace di riempire per l’undicesima volta consecutiva in maniera totale il Lino Oldrini di Masnago, una realtà di cui si parla, per quanto sta facendo vedere in campo, anche oltre oceano, essere un brutto spot per la pallacanestro italiana, essere causa di un grave danno d’immagine a tutto il movimento?
Ce lo chiediamo e ci viene davvero difficile affermare questa cosa, perché lo spettacolo messo in campo ieri sera dai biancorossi contro Brindisi, non solo dai giocatori in campo ma da tutta la gente della Pallacanestro Varese, è un patrimonio unico che la pallacanestro italiana dovrebbe tutelare. Una squadra, una città, un popolo intero, quello biancorosso, che da questo uragano che l’ha colpita sta trovando ancora più forza, passione, unione ed unità d’intenti che già fino alla scorsa settimana aveva caratterizzato tutto il cammino di Varese.
Un cammino che, a meno di grandissimi stravolgimenti dal punto di vista processuale, non proseguirà ai playoff ed anzi, rischia di non rimanere nemmeno in Serie A e spiegateci davvero, come sia possibile.
Spiegateci come una squadra che sta girando a 7 giocatori mettendo sotto tutti gli avversari che incontra possa non andare ai playoff. Spiegateci come un gruppo che ha fatto sul campo 32 punti, ripetiamo 32, a tre giornate dalla fine della stagione, non possa andare ai playoff. Spiegateci come un popolo, comque quello biancorosso, possa farsi una ragione di vedere una delle più belle squadre dell’ultimo decennio mai ammirate non solo ai piedi del Sacro Monte ma in tutto il panorama cestistico itraliano, possa non andare ai playoff ed anzi, trovarsi all’ultimo posto in classifica. Spiegateci come una società che in nemmeno un anno ha cambiato e sta cambiando le regole del gioco, possa vedersi così pesantemente penalizzata per errori sicuramente frutto di tanta superficialità ma ci teniamo il ragionevole dubbio e speranza, fino all’ultima sentenza, non commessi con l’intento di frodare qualcuno.
Spiegateci tutto ma tanto a quei ragazzi lì in campo di tutto questo importa poco: loro pensano a giocare, guidati da quella fame che li porta a rifiutare in ogni modo la sconfitta, in qualsiasi situazione, in campo come fuori. Quella fame che li porta a rispondere nell’unica maniera possibile in questo momento, la più difficile ma anche la più efficace, con la testa, con il cuore, con la tecnica, con il sudore, con la fatica nelle gambe. Vincendo le partite, dimostrando di essere più forte, di tutto, di tutti. Dimostrando, come diceva Markel Brown domenica dopo la vittoria con Trieste, di valere i primi 5 posti del campionato, dove questa squadra è sempre stata in stagione, dove merita di stare, dove ogni partita dimostra di essersi meritata di stare, sul campo, ed alla fine di tutto si capisce che il vero danno d’immagine al basket italiano, al di là di tutto, sarebbe quello di non vedere questa Pallacanestro Varese ai playoff.
Alessandro Burin