Certe interviste sembrano prepararsi da sole senza averne la consapevolezza. Si cercano date, statistiche, eventi precisi di carattere sportivo e personale pensando di dover incoraggiare il dialogo con l’interlocutore, scoprendo poi che con Luca Fiumicelli dall’altro capo del telefono non ce n’è bisogno. L’ex Varese è un libro apertoche non ha bisogno di chissà quali domande, capace com’è di ben combinare memoria e dialettica, offrendo un nitido viaggio nei ricordi tutto da ascoltare.

Classe ’85, Fiumicelli ha debuttato in Serie C con la maglia biancorossa nel 2002 vestendola fino al 2004, anno del suo passaggio al Brescia; con le Rondinelle arriveranno l’esordio in B e in Coppa Italia, prima di affrontare un pellegrinaggio che lo ha riportato nella nostra provincia, tra episodi sportivamente sfavorevoli e scelte volontarie.

Grazie mille Luca per la disponibilità e il tempo concesso, uno degli obiettivi di VareseSport è quello di dedicare spazio a coloro che hanno vestito la maglia biancorossa lasciando un segno.
“Vi ringrazio per avermi pensato, Varese è la mia città ed è sempre nel mio cuore. Da qualche anno ho definitivamente smesso di giocare e mi piacerebbe tanto allenare i bambini, ma gli impegni lavorativi non me lo consentono”.

Restiamo in argomento: dove e quando inizi a giocare?
“Ho dei ricordi bellissimi dell’infanzia, si giocava praticamente a tutte le ore alternando le partite in oratorio agli allenamenti nel Bosto, la mia prima squadra. Con la società di Capolago ho fatto la trafila dalla scuola calcio fino ai Giovanissimi, passando quindi al Varese. Eravamo un gruppo davvero forte, ma nei primi due anni in biancorosso feci fatica a giocare perché fisicamente ero più piccolo dei miei compagni. Sentivo la gracilità come un limite al punto tale da pensare di smettere, ma fortunatamente mio padre mi stette molto vicino e mi incoraggiò a continuare, facendomi capire che potevo comunque compensare con le capacità tecniche. È stato il mio mentore”.

Un consiglio che poi si è rivelato fondamentale.
“Esattamente, perché già dall’anno successivo negli Allievi Regionali ho iniziato a giocare con continuità e acquisendo fiducia in me stesso, arrivando a segnare 22 gol con gli Allievi Nazionali di mister Tomasoni la stagione seguente. Ci piazzammo quarti in un campionato di alto livello in cui noi non eravamo certo una squadra di prim’ordine, ma riuscivamo farci valere. Il nostro rendimento convinse il direttore Stefano Capozucca a portare in prima squadra me e Samir Benhassen, fratello del già presente Momo, per il finale della stagione 2001-2002, prendendo posto in panchina all’Ossola contro la Triestina e nella trasferta di Carrara”.

Ed ecco l’arrivo nella Berretti.
“L’estate del 2002 fu molto movimentata: l’addio di tanti pezzi pregiati nella prima squadra, problemi coi tesseramenti e il cambio d’allenatore, con Massimo Morales a sostituire Mario Beretta. Il Varese arrivò al primo impegno della stagione in Coppa Italia Serie C con una rosa cortissima, schierando tra i titolari moltissimi ragazzi della Berretti tra cui io. La mia svolta però prese vita con l’esonero di Morales e il ritorno in panchina di Giorgio Roselli. Il mister decise di trattenermi in rosa e grazie a lui giunse il debutto tra i professionisti contro il Cesena (Cesena-Varese 3-0, 17 novembre 2002, ndr); la settimana successiva mi sorprese schierandomi dal primo minuto contro l’Alzano all’Ossola: segnai dopo appena tre minuti. Al termine di quel match firmai il mio primo contratto e a quel gol ne seguirono altri due. Fu un anno bellissimo per me considerato che ero ancora minorenne e i compagni di allora erano fantastici”.

E così diventi un membro attivo della prima squadra.
“Esattamente, la stagione 2003-2004 vide l’avvicendamento di mister Sannino al suo primo capitolo in biancorosso: tanto con lui quanto con il subentrato Paolo Beruatto, ebbi la possibilità di giocare tanto e marcare quattro reti complessive. La stagione però fu difficoltosa e costellata da noie dirigenziali che, come sapete, alla fine portarono al fallimento della società, in concomitanza con la nostra retrocessione nello spareggio contro la Reggiana”.

Il Varese Football Club fallisce e tu ti accasi a Brescia: come avviene quel trasferimento?
“Io avevo già saputo a stagione in corso che la società si era accordata per un mio passaggio nelle Rondinelle, perché dalla mia cessione avrebbero ricavato fondi importanti per risanare le finanze del club. Il presidente Turri però alzò ulteriormente la richiesta e Gino Corioni si tirò indietro, facendo saltare l’affare. Alla fine al Brescia mi trasferii comunque, ma a parametro zero e praticamente a ridosso di settembre, quindi con la prima squadra già composta. Mi aggregarono quindi con la Primavera, nonostante i precedenti accordi presi col Varese prevedevano che io giocassi in Serie B. Ho vissuto quel periodo come una retrocessione personale, perciò faticavo a prendere la giusta forma fisica e mentale”.

Cosa non ha funzionato a Brescia?
“Per essere un calciatore bisogna far combaciare determinati fattori: sicuramente avevo buone qualità tecniche, ma fisicamente non ero ancora all’altezza, non avevo la giusta mentalità e devo ammettere che la società non mi sostenne come credevo nonostante mi allenassi bene. Ho ricevuto attestati di stima da parte di allenatori dell’epoca come Rolando Maran, che mi riteneva un buonissimo calciatore ma non abbastanza valido a livello fisico, mandandomi in prestito in Serie C alla Sangiovannese”.

Inizia così il tuo pellegrinaggio con le maglie di Sangiovannese, nuovamente Varese, Ivrea, Cuneo e Virtus Entella, giungendo alla decisione più drastica: chiudere il capitolo da professionista.
“Non è stata una scelta semplice da fare a 25 anni. I contratti persi tra Brescia e successivamente Ivrea con un nuovo fallimento societario, mi hanno fatto perdere la voglia di continuare a inseguire quel sogno. Al contempo si era concretizzata l’opportunità di iniziare un percorso lavorativo come agente di commercio in ambito farmaceutico. In quel momento ho preso coscienza sul mio futuro, decidendo di non posticipare una situazione che comunque avrei dovuto affrontare una volta chiusa la carriera. Questa occasione mi permetteva di lavorare nella mia provincia e trovare il tempo di allenarmi alla sera, e così è stato. Nel 2011 sono ripartito dall’Eccellenza giocando nella Vergiatese per tre stagioni, vestendo poi le maglie di Varesina, Tradate, Cairate, Castellanzese, Gavirate e Fagnano. Esperienze che mi porto dentro con affetto perché mi hanno permesso di legarmi a squadre che erano in realtà grandi famiglie”.

A inizio intervista hai parlato di tuo padre definendolo il tuo “mentore”: ti è sempre stato vicino durante il percorso calcistico?
“Assolutamente si, è sempre stato una guida per me. Vive il calcio da tantissimi anni: oggi è coordinatore delle attività di base nella Varesina, ma quando ero piccolo è stato anche il mio allenatore nel Bosto. Era il mio primo tifoso e mi ha sempre accompagnato attraverso ogni esperienza e decisione presa, ma è stato anche molto realista. Ad esempio quando vivevo un periodo in cui non giocavo, lui mi faceva capire chiaramente che era giusto che io non giocassi in quel momento. Non sono cose facili da dire per un genitore e da recepire per un figlio, ma penso rappresentino un passaggio fondamentale nel percorso di crescita di una persona”.

Gettando uno sguardo sulla tua carriera, qual è il momento che ti ha emozionato di più?
“Sicuramente il primo gol da professionista contro l’Alzano, segnato con la squadra della mia città e con tutti i parenti presenti all’Ossola: semplicemente memorabile. Ricordo però con affetto anche la seconda rete, siglata sotto Natale contro il Cittadella (Varese-Cittadella 1-1, 22 dicembre 2002, ndr): tiro al volo all’incrocio dei pali appena prima del novantesimo, un tripudio assoluto”.

Dario Primerano

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