Una storia di tennis internazionale, di studio, di passione e abnegazione, quella di Moez Echargui, tennista professionista tunisino classe 1993. Attualmente occupa la 279esima posizione nel ranking ATP, sua miglior classifica all time, e grazie al lavoro con il team della MXP Tennis Academy, punta a migliorare ancora di più la sua posizione della graduatoria mondiale. Dopo essersi laureato in ingegneria nell’università del Nevada, ha intrapreso la carriera pro nel circuito ATP e, dopo qualche infortunio di troppo, ha ritrovato finalmente la condizione ottimale e i risultati sono arrivati di conseguenza.
Noi lo abbiamo incontrato e gli abbiamo posto qualche domanda per entrare nelle pieghe della sua vita dentro e fuori dal campo.

Partiamo proprio dalle ultime settimane. Sei reduce dal tuo miglior risultato a livello Challenger e hai appena raggiunto il tuo best ranking. Immagino tu sia veramente in forma…
“Direi proprio di sì. Sono in un momento positivo a livello tennistico, fisico e mentale. Ho raggiunto da poco il mio risultato migliore a livello ATP Challenger con la semifinale a Modena. Era la prima settimana dopo un piccolo infortunio al ginocchio e non pensavo di poter fare così bene. Per fortuna, invece, mi sono subito sentito a mio agio su quei campi e sono riuscito a dare continuità alle buone prestazioni iniziali. Grazie a quella settimana, ma anche ai buoni piazzamenti ottenuti in precedenza ho ottenuto il mio best ranking di 279 ATP. Ho lavorato tanto per questo e adesso mi godo le belle sensazioni”.

Per dare seguito ai buoni risultati hai già fatto una bozza di programmazione delle prossime settimane?
“Assolutamente sì. Nel tennis moderno non puoi permetterti di non programmare. Soprattutto gli spostamenti sono così frenetici che avere già una schedule già fatta di permette di avere anche un pochino di tranquillità in più. La settimana che viene (questa, ndr) giocherò il Challenger a Tampere, Finlandia. Quella dopo ancora non ho ancora deciso se giocare sempre Challenger a Verona o Zug (Svizzera, ndr). In base ai vari iscritti e la mia posizione in tabellone deciderò il da farsi. Intanto, però, mi concentro su ogni match e cerco di tirarne fuori più prestazioni possibili. La vittoria viene da sé quando giochi bene e con l’atteggiamento giusto”.

Facciamo invece un salto all’indietro e ripercorriamo la tua infanzia e il tuo approccio al tennis. Come hai iniziato a giocare e come sono stati i tuoi primi anni con la racchetta?
“Ho iniziato a giocare intorno ai dieci anni al mio paese natale in Tunisia (La Marsa, ndr). Non ho iniziato prestissimo ma appena ho preso la racchetta in mano ho sentito subito un grande feeling per questo sport. La Tunisia non ha una tradizione tennistica così importante, però negli anni qualche buon giocatore è venuto fuori. Su tutti Malek Jaziri (miglior classifica 42 ATP in singolare, ndr) e adesso nel femminile Ons Jabeur (ora 6 WTA ma con best ranking 2, ndr). Ho cominciato a giocare tornei internazionali dalla categoria ITF Under 18 con discreti risultati, infatti sono stato vicino alla Top100. Dopodichè, però, con i miei genitori abbiamo preso una decisione importante e mi sono trasferito negli Stati Uniti per poter studiare al college. Sono stati anni preziosissimi per me”.

Raccontaci allora l’esperienza di poter studiare al college e intanto giocare a tennis…
“Molto volentieri. Come ti dicevo è stata un’esperienza unica, molto formativa per il mio percorso. Sono stato alunno dell’Università del Nevada dal 2011 al 2016 e in quei cinque anni mi sono laureato in ingegneria meccanica ed informatica. È stata un’opportunità incredibile e aver conseguito un titolo di studio così importante mi riempie veramente d’orgoglio. Durante questi anni, inoltre, ho potuto giocare sia i campionati interni dei college sia qualche torneo internazionale e, soprattutto, mi sono preparato al salto tra i professionisti. Sono arrivato tardi tra i pro, ma non mi pento assolutamente delle scelte che ho fatto”.

A proposito, lo step tra il college e il circuito ITF è stato pesante o hai subito colto buoni risultati senza grosse difficoltà?
“A questa domanda rispondo sempre dicendo che ovviamente ho avuto delle difficoltà fisiologiche. Sono entrato a far parte in modo continuativo di un mondo che conoscevo solo parzialmente, ma l’esperienza americana mi ha aiutato tantissimo anche sotto questo aspetto. Il college ti prepara molto bene dal punto di vista atletico e tennistico, quindi i risultati che ho ottenuto sono stati assolutamente positivi. In due anni ho raggiunto il mio precedente best ranking e nel 2018 era numero 310 ATP. Da quel momento tanti infortuni mi hanno rallentato nel processo di crescita e ulteriore miglioramento. Il più grave è stato un infortunio del 2019 al polso che mi ha tenuto fermo per sette mesi. Riprendere a giocare dopo così tanto tempo è stato seriamente difficile e l’altra grande difficoltà era quella di dover ripartire dai tornei minori perché avevo perso tutto il mio ranking. Quando pensavo di aver ritrovato le giuste sensazioni è arrivata la pandemia. Che mazzata!”

Immagino. Dev’essere stata dura per te. È dopo questo periodo che, però, hai conosciuto il team di MXP Tennis?
“Proprio così. In verità la nostra collaborazione nasce a fine 2021. Prima avevo ripreso per qualche mese a giocare a Tunisi e giravo per i tornei da solo, senza coach. Sentivo però che non fosse la giusta strada per tornare ad alti livelli e, dopo aver conosciuto Marco e Fabio, ho scelto di allenarmi con loro. Tra di noi è stato subito un rapporto vero, sincero, schietto e produttivo. Al team di lavoro si è aggiunto mano a mano anche Paolo (Moretti, ndr), con cui giro spesso per tornei. Lui e Marco sono i ragazzi che mi accompagnano di più nelle mie avventure, ma tra tutti noi scorre buon sangue. Sembra di stare in famiglia. L’aggiunta di poter allenarmi con Mattia Bellucci, Remy Bertola e Federico Iannaccone in pianta stabile (da poco anche Federico Arnaboldi, ndr) è solo un plus che aiuta tutti noi ad avere una crescita continua e comune”.

In questo splendido inizio di stagione hai anche avuto l’onore di rappresentare la Tunisia in Coppa Davis. Che sensazioni hai provato?
“Bella domanda. Se ci ripenso ancora non so descriverti cosa vuol dire rappresentare la propria nazione in una competizione importante come la Davis. Erano le fasi preliminari e abbiamo giocato contro Cipro. Lo stadio era pieno e aver portato a casa due vittorie su due incontri di singolare è stato veramente assurdo. Il pubblico ti spinge veramente a gettare il cuore oltre l’ostacolo ed è come se ti accompagnasse in ogni gesto tecnico e ogni passo che fai. Ecco perché in Coppa Davis non si sa mai come può andare a finire; il risultato è sempre in bilico e anche i più deboli possono sovvertire il pronostico. A settembre, infine, sfideremo la Georgia e sarà un altro incontro tostissimo”.

Per concludere questa nostra chiacchierata volevo farti i complimenti per come parli l’italiano e, inoltre, chiederti un tuo obiettivo o proposito per il futuro…
“Ti ringrazio molto, sono contento di aver imparato anche questa splendida lingua (è la quinta, ndr). Per quanto riguarda gli obiettivi ti posso dire che prima di tutto avere anche nei prossimi mesi questa continuità e questo livello di gioco è la base da cui partire. Abbiamo lavorato bene e la crescita è stata costante, ora non dobbiamo buttare via quanto di buono fatto fin qui. Ovviamente il primo obiettivo alla portata è quello di giocare stabilmente i main draw dei Challenger e, finalmente, provare l’ebbrezza di poter disputare le qualificazioni di un Grande Slam. Il lavoro da fare è ancora tanto, ma mi sento bene e so che posso arrivarci. Prima di terminare ci tengo a ringraziare la federazione Tunisina che mi dà una grossa mano per permettermi di vivere questo sogno e proprio tutto il team di lavoro di MXP Tennis. Siamo una squadra unita e coesa e ci toglieremo grandi soddisfazioni insieme”.

Filippo Salmini

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