Pietro Borghi è forse da sempre una certezza per i Mastini. Magari non è l’uomo che spicca sul ghiaccio (per quanto sia sempre pronto e propenso al sacrificio per la squadra), ma è un autentico uomo-spogliatoio con la sua simpatia, il suo carisma, la battuta sempre pronta e un ferreo senso di attaccamento alla maglia giallonera. In una stagione storica per Varese, lui e la quarta linea (i sempre presenti nei cuori dei tifosi Daniele Odoni e Riccardo Privitera) hanno vissuto una stagione di enorme sacrificio, ma l’hanno fatto con gioia contribuendo ad un doblete unico e… ripetibile.
Sì perché, a conti fatti, una volta vinto tutto quello che si poteva vincere (parliamo di IHL, ovvio), l’unico obiettivo possibile è ripetersi e Varese ha iniziato alla grande il campionato 2023/24 con tre vittorie su tre (una all’overtime) per piazzarsi saldamente al secondo posto della graduatoria a 8 punti. Tra le note più positive dell’inizio del campionato c’è proprio la quarta linea di cui Pietro Borghi è l’unico “superstite”: le rotazioni di coach Czarnecki impegnano non poco i giocatori, e l’attaccante classe ’97 sta svolgendo egregiamente il suo nuovo (vecchio) ruolo da centro come visto sia contro il Valpellice che contro il Bressanone. A proposito di quest’ultima partita, Borghi puntualizza subito: “Il gol non è mio, ma di Naslund. Ciò non toglie l’ottimo lavoro fatta dalla mia linea, e mi tengo volentieri l’assist, ma non ho segnato io: ho aperto il disco su Allevato che ha servito Naslund e il gol è tutto suo. Io ero semplicemente sulla traiettoria e mi sono spostato, non so perché l’abbiano attribuito a me”.
Al netto di ciò, resta comunque una gran vittoria. Che partita è stata?
“Sono stracontento di come ha giocato la squadra, e in particolare i complimenti vanno a Lollo (Marinelli, ndr) perché nel primo periodo ci ha tenuti in piedi: diciamo che eravamo imballati da un viaggio estenuante e, come spesso ci capita in questi casi, di ritorno sul ghiaccio per il secondo drittel ci siamo detti che era il momento di tirare il pullman fuori dalle gambe. Da lì è stato tutto in discesa, ma senza Marinelli sarebbe stata ben più ardua; con Perla siamo più che al sicuro, ma mi auguro che il problema al menisco non lo faccia star fuori a lungo”.
E sulla tua quarta linea cosa puoi dire?
“Dico che mi sto trovando molto bene. Io e Allevato siamo compagni da qualche anno ormai, ma di fatto non avevamo mai giocato insieme: sono rimasto sorpreso dall’intesa che abbiamo sul ghiaccio io, lui e Crivellari perché ho al mio fianco due schegge e nel mio vecchio ruolo di centro, che avevo fatto nell’ultimo anno di Da Rin, sto ritrovando una bella confidenza. La nostra forza, oltre al comunicare, è l’essere ordinati: il compito della quarta linea è non sbagliare e fin qui abbiamo concesso zero gol, contribuendo a farne due”.
Stai trovando fin qui molto più spazio rispetto all’anno scorso; a cosa è dovuto secondo te?
“Attraverso il lavoro costante ci stiamo guadagnando e sudando ogni singolo secondo sul ghiaccio, perché com’è giusto che sia il coach non ci regala nulla. Detto questo credo che sia una questione di filosofia hockeistica, e non sta a me giudicare quale sia giusta e quale sbagliata: Devèze si adattava alla partita e all’altra squadra, mentre Czarnecki vuole fare in modo che siamo noi ad imporci sugli altri. Mi spiego: se Pergine lo scorso anno girava a tre linee, noi facevamo altrettanto e, di conseguenza, io e gli altri non entravamo. A Czarnecki, invece, per il momento, non interessa cosa fanno gli altri, ma vuole che facciamo al meglio le cose provate in allenamento. Sono due approcci diversi e, ripeto, non necessariamente uno dei due deve essere quello giusto; anche perché lo scorso anno sappiamo com’è andata alla fine”.
Spesso abbiamo parlato di filosofie differenti tra Devèze e Czarnecki. Nel concreto, però, cosa cambia oltre all’approccio?
“Cambia il modo di impostare la partita a livello difensivo e offensivo. Czarnecki si concentra quasi esclusivamente sulla fase difensiva, al punto che in allenamento proviamo solo qualche schema sugli ingaggi offensivi: dobbiamo essere rigidi e rigorosi quando il disco ce l’hanno gli altri, poi quando andiamo noi in attacco andiamo di fantasia, anche perché nell’hockey è impossibile insegnare come far gol. La filosofia di Czarnecki, forse dettata dall’esito dello scorso anno, è molto semplice: siamo i campioni in carica, dobbiamo essere noi ad imporre il nostro gioco”.
Cosa ti ha soddisfatto di più di queste prime partite?
“La consapevolezza dei nostri mezzi. Ad Alleghe abbiamo iniziato bene salvo poi adagiarci sugli allori, e a Bressanone abbiamo fatto male nel primo periodo; nel momento di spingere, comunque, ci siamo fatti valere”.
Facciamo due passi indietro e torniamo a Cortina: l’emozione di vivere quella giornata? In Veneto c’era più Varese di Cortina…
“Sembrerà una banalità, è stato detto e ridetto, ma è davvero così: Varese ha dimostrato tutta la sua forza e la passione che c’è dietro questa squadra. Di solito è sbagliato arrivare troppo presto prima di una partita, e noi siamo scesi dal pullman con oltre tre ore d’anticipo, ma girando in città non siamo certo rimasti indifferenti perché si vedevano bandiere giallonere ovunque e si sentivano cori ogni due per tre. Noi giocatori ci siamo gasati inevitabilmente, ed è stato un bel messaggio a tutto il mondo dell’hockey: tolte le squadre di ICE, non credo che ci siano piazze come la nostra e io sono orgoglioso di farne parte”.
Poi c’è stata la partita e verrebbe da dire che, se giocaste ogni sfida così, in IHL non ci dovrebbe essere storia. Poi sappiamo, invece, che ogni sfida ha una storia a sé…
“Esattamente. Cortina elude un po’ ogni discorso, perché era una partita secca contro una squadra più forte, ragion per cui eravamo stimolati al massimo. Per noi è stato un indicatore del nostro livello, perché alla fine ce la siamo giocata quasi alla pari e iniziare la stagione con una prestazione del genere ci ha dato una bella carica. Da lì abbiamo però resettato, siamo scesi di un gradino tornando in IHL con la consapevolezza di doverci sudare ogni partita facendo tesoro di un insegnamento: non dobbiamo guardare dove il Cortina ci è stato superiore, ma dove ha sbagliato meno. È lì che si fa la differenza”.
Abbiamo parlato di emozioni: che emozione è stata tornare a giocare all’Acinque Ice Arena?
“Credimi, è difficile da dire a parole. Sul ghiaccio eravamo tutti sorridenti perché ci sentivamo a casa, alla prima ufficiale dopo quel magico 15 aprile. C’era però quella giusta tensione pre-game che forse non ci ha fatto godere appieno il momento, cosa che abbiamo fatto alla sirena e durante il giro di campo: abbiamo ripreso da dove ci eravamo interrotti, a casa nostra”.
Sabato sotto con il Dobbiaco: sensazioni?
“So che non hanno iniziato al meglio, ma personalmente li ho sempre rispettati perché contro di loro mi ricordo solo battaglie. Anzi, proprio per il fatto che hanno perso le prime saranno ancor più determinati a farci lo scherzetto e arriveranno qui con il coltello fra i denti”.
Un passo per volta, ma andiamo già oltre: dopo la pausa sotto con Caldaro e Pergine. Sono queste le due rivali principali?
“Il Caldaro secondo me ha perso qualcosina, ma giocare da loro non è mai facile e anche se non dovessero avere mezza squadra sarà sempre una battaglia. Sono curioso di affrontare Pergine perché era già un’ottima squadra e si è rafforzata davvero molto; credo che saranno loro quelli da tenere d’occhio”.
Chiudiamo con due domande secche: il tuo obiettivo stagionale?
“Stessa risposta di sempre: con gli obiettivi stagionali non si va da nessuna parte. Non è importante il singolo, ma la squadra e io metterò sempre i Mastini al primo posto. Sono contento di com’è iniziata la stagione: dobbiamo solo continuare così”.
Dopo aver vinto tutto, qual è il tuo sogno?
“Ogni sogno che avevo a livello sportivo l’ho realizzato l’anno scorso, per cui la risposta è abbastanza semplice: rivincere tutto quanto, ma (aggiunge ridendo, ndr) segnando in finale lo stesso gol che ha fatto Rocco”.
Matteo Carraro