
Impossibile, letteralmente, scordarsi di quella serata. Un sogno atteso 27 anni che ha portato i Mastini ad alzare nuovamente un trofeo, a vincere per la prima volta la Coppa Italia e a certificare il ritorno dell’hockey in città. “Lentamente sto cominciando a realizzare ciò che abbiamo fatto – commenta con gli occhi che brillano Edoardo Raimondi, leader carismatico della squadra dall’alto della sua esperienza – e questo mi fa capire ancor di più la portata di un’autentica impresa; l’emozione è ancor più grande e intensa di quanto potessi mai immaginare. Ora che stiamo metabolizzando, però, avremo ancor più fame di voler arrivare fino in fondo in campionato e rendere la stagione unica e irripetibile”.
L’HCMV Varese Hockey ha subito dimostrato di non volersi accontentare: 63’22’’ di battaglia sportiva hanno regalato ai gialloneri un’altra gioia, con la vittoria all’overtime su Pergine che ha rafforzato il primato nel Master Round. “Dobbiamo continuare a cavalcare l’ondata di emozione e di fiducia scaturita dalla Coppa – spiega l’attaccante classe ’87 –, ma dovremo essere bravi a sfruttarne il lato positivo: entreremo sul ghiaccio rispettando ogni avversario, ma con la consapevolezza di poter realizzare qualcosa di magico”.
Quanto hai sognato quel momento?
“Credo che tutto sia partito fin dal primo giorno che ho vestito la maglia dei Mastini quattro anni fa. Sono tornato con Vanetti con il sogno di riempire il Palaghiaccio come trent’anni fa e riportare Varese dove meritava. Vincere è un processo e per imparare a vincere devi prima imparare a perdere: tre anni fa siamo andati vicini al sogno a Merano, e credo proprio che questa vittoria nasca da molto lontano. È il successo di chi c’era, di chi c’è stato e di chi ci sarà continuando ad indossare questa maglia”.
Come avete vissuto quel momento?
“È stato pazzesco. Proprio qui, con mio papà, ho visto Mansi e Figliuzzi alzare la Continental Cup e sognavo di diventare come i miei eroi: nel momento in cui abbiamo sollevato al cielo la Coppa ho visto le lacrime della gente, un pubblico fantastico, e tutti erano emozionati quanto noi. Riportare un trofeo alla città, a quasi trent’anni dall’ultima volta, e farlo in prima persona dopo averlo visto fare ai miei idoli è stato qualcosa di incredibile. Abbiamo scritto la storia”.
Tra l’altro sei stato il primo a fare il giro della pista sollevando il trofeo…
“Avevamo un accordo io e Vanets: se avessimo vinto, dopo aver alzato il trofeo insieme alla squadra, sarei stato il primo a prendere la Coppa. È bastato uno sguardo e Andrea, anche lui emozionatissimo, me l’ha passata dicendomi semplicemente: “Vai”. Era il momento che avevo sempre sognato: sono partito, io solo con la Coppa, e l’ho alzata per tutta la città. Non ci sono altre parole, perché non posso spiegare il vortice di emozioni nell’aver visto mio papà e la mia famiglia in lacrime: ero in mezzo ad oltre mille persone, ma in quell’istante c’era solo un bambino con una Coppa in mano che esaudiva il sogno di una vita”.
Da lì è partita una settimana intensa di festeggiamenti: c’era quasi un pizzico di “timore” per il ritorno in campionato, contro una delle squadre più forti, ma possiamo dire che l’esame Pergine è stato superato al meglio.
“Ci siamo presi una settimana per festeggiare perché non riuscivamo a realizzare quanto fatto. La vita è una, e quel momento andava rivissuto motivo: ogni giorno serviva per tornare a quella domenica. Poi siamo partiti per Pergine con assenze pesanti e lì abbiamo dimostrato ancor di più la forza di questa squadra: nessuno era appagato e chi fin qui aveva giocato meno è stato straordinario nel contribuire alla vittoria. Adesso deve subentrare la consapevolezza, per fa sì che lo scorso sabato non sia stato un caso isolato, altrimenti la troppa fiducia ti manda fuori ritmo”.
Prossima tappa Dobbiaco: sensazioni?
“Stiamo entrando in una fase in cui bisogna considerare tutti allo stesso modo: ogni trasferta, ogni partita va approcciata come se fosse un match di una serie playoff. Servirà ritmo e intensità, dovremo migliorare le statistiche degli special teams e sfruttare le prossime quattro partite come banco di prova in vista degli scontri diretti. Sappiamo che tutti cercheranno di batterci; noi dovremo dimostraci più forti”.
Guardando avanti, in ottica playoff, chi preferisti incontrare tra Como e Valdifiemme?
“Una squadra vincente non pensa a quale avversario affronterà, ma a come batterlo. Per darti una risposta, comunque, ti direi Como. Mi piace mettermi alla prova e mi piacciono le partite dalle emozioni alte: credo che per la città di Varese godersi una serie playoff con il derby sarebbe elettrizzante, a maggior ragione in una stagione già di per sé elettrizzante”.
Raimondi giocatore e Raimondi allenatore (tecnico del Lugano U13 Elite, ndr): cosa cambia?
“Dal punto di vista tecnico metto a disposizione del coach tutto ciò che posso fare unendo alle mie qualità la disciplina tattica. Faccio quello che mi si chiede di fare e provo a trasmettere la mentalità vincente a tutti i miei compagni: dall’allenarsi al 200% in settimana al curare ogni dettaglio, gestendo le emozioni e comportandosi correttamente con il coach e con gli avversari. Da allenatore faccio lo stesso, prendendomi la responsabilità di insegnare qualche trucchetto ai miei ragazzi, ma sempre nel rispetto dell’avversario”.
Guardandoti indietro, da inizio stagione a questa parte, quanto è cresciuta la squadra?
“Indubbiamente siamo cresciuti sul piano della qualità, della disciplina sul ghiaccio e in termini tattici, ma la crescita c’è stata soprattutto dal punto di vista mentale: ognuno ha acquisito quella mentalità vincente che è indispensabile per andare avanti. Non dimentichiamo che nel primo mese abbiamo fatto fatica, ma la pazienza è stata la nostra arma migliore: seguendo il piano di sviluppo ci siamo ritrovati in una condizione in cui ognuno fa il suo, mettendo a disposizione degli altri le piccole cose che vanno al di là del ruolo e del minutaggio. Solo così si può costruire qualcosa di importante e non vogliamo smettere di sognare”.
Matteo Carraro