La vita non è un film, cantavano gli Articolo 31 nel lontano 2002, più di vent’anni fa, eppure ci sono storie che ammaliano fino a tal punto da tenerti incollato al grande schermo, in attesa di un finale, in attesa dei titoli di coda. La differenza, però, è che queste storie sono ancora più realistiche di quanto si possa immaginare, vanno oltre la più imprevedibile delle sceneggiature, toccano corde nascoste, compongono rime baciate e melodie più preziose di qualsiasi colonna sonora d’autore.
Alessandro Cremona sa bene di cosa sto parlando, lui che ricorda persino i dettagli, gli odori, i colori di una passione partita da quel muretto in giardino, passata per le belle speranze del mondo professionistico, fino al campetto con gli amici e la più inaspettata vittoria di un campionato. 

Difensore classe ’91, mancino puro, ha dovuto rimboccarsi le maniche fin da bambino per poter cullare sogni di gloria con il suo amatissimo pallone. 
La sua storia parte da quando aveva 11 anni, con un referto medico che non lasciava troppo spazio all’immaginazione, c’era un tumore benigno all’omero da operare con autotrapianto. Sono le classiche situazioni in cui ti cade il mondo addosso ed inizi a vivere in apnea, anche se a 11 anni della vita sai ancora poco e mai penseresti che possa essere così crudele. Si parte con l’operazione e il piano di recupero, ma qualcosa non torna. “Mio padre sapeva leggere le lastre per via del suo lavora e notò delle macchioline nere che lo preoccupavano, il primario diceva che era tutto ok ma lui non era affatto convinto, si rivolse ad un altro medico ed emerse che il tumore era ancora lì, fu necessaria una seconda operazione”. Ansia, paura, ma anche un lieto fine che combaciava con il poter coltivare finalmente la passione più grande. “L’aneddoto di tutta questa storia è che con il discorso dell’autotrapianto e quindi la necessità di prelevare un altro pezzo di osso all’interno del mio corpo, il solito temperamento di mio papà lo portò a chiedere ai medici di non prelevare quel pezzo dalla tibia sinistra perché quando mi guardava giocare in giardino lo vedeva che fossi mancino”. Non lo ascoltarono, poco male, quel mancino era destinato a lasciare il segno a prescindere.

L’avventura iniziò a Venegono, sul campo di paese, nel segno di un idolo chiamato Ronaldo che svolse a pieno il suo “compito” di ispirare le generazioni future. “Ronaldo il Fenomeno è il mio preferito di sempre, è colui che mi ha portato a fare quello che ho fatto”.

E cosa ha fatto Alessandro Cremona? È partito dai pulcini a 9 salvo poi passare all’Azzate, appena una stagione ed il trasferimento al settore giovanile professionistico del Varese. Avventura durata 4 anni, ma sotto la guida di mister Bettinelli le cose non decollarono, Cremona fece le valigie e decise di approdare al Como. “Fu una scelta vincente, giocavo sia con gli allievi nazionali sia con la juniores nazionale, il Como nel frattempo era in D e conobbi uno dei compagni che più mi è stato vicino in questo percorso, Kuku Mireku, poi feci anche la beretti nazionale ma a 18 anni ero nelle mani della persona sbagliata, mi volevano Juventus, Atalanta, Empoli e Albinoleffe, ero un po’ superficiale e scelsi di andare a Cantù in serie D dove iniziò bene ma finì male”.

Prima serie D, poi eccellenza con l’Insubria, intanto il tempo passa ed arriva anche quello che ti chiede cosa vuoi fare da grande: Ero in 5ª superiore, dovevo scegliere l’università, quando dissi architettura mio padre mi rise un po’ in faccia “Ma dove vuoi andare con quella testa lì…” ecco, se mi sfidi è finita, l’ho presa proprio come una sfida e alla fine ho vinto io”.

Università più calcio, what else? Un duplice impegno fatto sempre con il massimo della dedizione e della passione, anno sabbatico compreso, quando si dedicò al Csi salvo poi fare suo il cartellino e tornare nei campi di lnd. Varesina, prossima fermata, Varesina: campionato di Prima Categoria vinto ma con l’ingresso dello Scoiattolo tanti, troppi, cambiamenti ed un nuovo capitolo, il Cantello.C’era mister Senziani in panchina e non fu un’annata felice, io non giocai il playout ma la squadra retrocesse, questa esperienza mi ha poi aperto le porte di Gorla Maggiore, una delle parentesi più belle delle mia vita calcistica, dove ho conosciuto persone fantastiche che mi hanno dato tantissimo soprattutto a livello umano, ancora oggi organizziamo un paio di uscite all’anno e ancora oggi nutro rispetto per mister Colombo che va oltre qualsiasi cosa, uno spessore umano che poche volte si trova nel calcio unito a tanta disciplina, davvero di un altro livello”. Tre anni valsi per 10, finali playoff perse e sogni sfumati, poi mister Saporiti ed un nuovo cambiamento, questa volta si va a Lonate, vicino casa, ma anche qui non tutto andò per il verso giusto:Fu una bellissima annata in cui arrivammo secondi, ma ai playoff la società fece scelte discutibili e riuscimmo a perdere in casa nonostante il doppio risultato a favore, anche lì fu un dispiacere per tutto ciò che avevamo fatto, ma andò così e la mia avventura si chiuse in fretta”.

E allora…Mozzate. Ho un motto, Simo Mora (Morandi ndr) grazie ancora” (ride ndr). “In realtà quell’anno iniziai la preparazione con la Guanzatese, ci fu il primo incontro con mister Papis, ma ebbi un battibecco con un direttore e non inizia nemmeno la stagione, poi è arrivata la chiamata di Morandi e non potevo certo dire di no, con il Mozzate abbiamo vinto la Terza Categoria, la Seconda venne interrotta dal covid, quando tutto riparte ci troviamo in Prima tramite la fusione e in un’annata complicata ci giochiamo il playoff con il Ferno, perdiamo ma si accende una miccia, io per primo mi sono detto che avremmo potuto fare qualcosa d’importante”.

L’anno dopo il gruppo resta, non c’è Papis, che era già stato mandato via durante l’anno, c’è mister Piazzi ed un nuovo ds Mauro Canino:L’ho conosciuto agli sgoccioli della mia carriera ma è un’altra persona straordinaria, schiena dritta e testa alta sempre, questo il nostro motto ed è tutto racchiuso lì”. 

E qui cosa è successo in quello che senza dubbio è stato uno degli anni più belli della tua vita? 
Di tutto, è successo di tutto. Partiamo così così, c’è un cambio d’allenatore ed il grande ritorno di mister Papis, era come se si dovesse chiudere un cerchio ed io ero felicissimo, per me Papis è un po’ come mio padre, lo guardo in faccia e non c’è bisogno che dica nulla, lo capisco al volo, basta uno sguardo, a novembre credo fossimo dietro di 9 punti, al giro di boa di 6, è una rincorsa continua ma c’è un gruppo che supera tutto ed il girone di ritorno è perfetto, vinciamo il campionato, lo vinco con la fascia al braccio, è stato un capolavoro unico ed irripetibile”.

E poi l’ultimo ballo, in Promozione.Mi mancava questa categoria, ad inizio anno avevo già deciso che avrei chiuso perché questo calcio non mi appartiene più, non vedo la passione che avevo io, non vedo lo spirito di sacrificio, ognuno pensa al proprio orticello che è un po’ quello che è successo quest’anno a Mozzate, alla fine ci siamo salvati ma è stata dura per tutto ciò che abbiamo vissuto, la mia beffa è arrivata alla penultima giornata quando sono stato espulso ingiustamente e ho pure dovuto saltare gli ultimi novanta minuti della mia carriera, i miei compagni mi avevano regalato un paio di scarpe da indossare per l’occasione, niente, ce le ho a casa esposte in vetrina”.

Ma una persona come te, un uomo come te, non pensa di avere ancora tanto da dare a questo calcio magari in un’altra veste?
Purtroppo quando non vedi quello che vorresti vedere e t’incocci solo con enormi mancanze di rispetto, con ragazzini viziati che vivono il calcio come un hobby, un passatempo qualsiasi, ti rendi conto che non è più il tuo posto, e non lo sarebbe nemmeno dietro ad una scrivania perché anche lì ho visto tante cose che non mi appartengono, credo che di me si possa dire tutto, ma non che io sia un disonesto, dico quello che penso, sono diretto, ma ho sempre detto la verità, ho sempre messo in primo piano il bene della squadra”. “Chiudo lasciando Mozzate che ringrazio perché ha fatto di tutto per tenermi prosegue Cremonama c’è una dietrologia che non condivido, in compenso è tornato Simone Morandi, sono felicissimo e gli auguro il meglio, lo vedo come un passaggio del testimone”.

In tutti questi 23 anni qual è stato il tuo punto di riferimento, la persona che ti ha dato di più?
Mio padre. Mio padre mi ha salvato la vita in tutti i sensi in cui si possa salvare la vita ad un figlio, siamo così diversi e così uguali, prendo in prestito una citazione “Caratteri forti, destini forti”, ci sono stati periodi in cui litigavamo e non ci parlavamo e poi lo vedevo arrivare al campo di nascosto, mi ha sempre seguito ed accompagnato ovunque, ripeto mi ha salvato la vita e il futuro”. 

Anche la tua compagna, Silvia, ti ha accompagnato in questo viaggio seppur rimanendo a distanza: Fino a prima della convivenza veniva sempre a vedermi, ma era un gesto d’amore enorme perché il calcio non le è mai interessato, non mi ha mai detto smetti né continua, mi ha sempre lasciato libero, è giusto però che le dedichi almeno un po’ del tempo che le ho sottratto, anche se le ho detto di non approfittarsene”. (ride ndr).

E dentro al campo quali sono stati, invece, i tuoi punti di riferimento?
Dovrei elencarne molti ma ne cito due su tutti: Kuku Mireku e Antonio Ippolito. Due esempi, due leader, due grandi amici, ma anche due giocatori fantastici che hanno vinto molto meno di quello che avrebbero dovuto, mi hanno dato davvero tanto”.

E quindi si chiude così? Nessun rimpianto?
Posso parlare di un po’ di rammarico riferito agli anni in cui avrei potuto “sfondare”, finire in una juniores di serie A, ma per il resto non ho davvero nessun rimpianto, questo calcio mi ha dato tutto ciò che sono oggi culturalmente e umanamente, ho una calma olimpionica che ho maturato probabilmente nelle difficoltà della vita, quando mi sono dovuto rimboccare le maniche, ho fatto la mia carriera, sono una persona indipendente, ho reso orgogliosi i miei genitori e sono sempre andato d’accordo con tutti con il mio carattere onesto e diretto, per me il cerchio è davvero chiuso e non potrei essere più in pace con me stesso di così“.

Cala il sipario, si spengono le luci, ma certe cose restano. Eccome se restano.
The end.

Mariella Lamonica

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