Il miglioramento individuale è sempre più al centro del basket moderno.

Lavorare su sé stessi, andare a rafforzare quelli che sono i propri punti deboli, cercare di massimizzare l’efficienza di ogni propria giocata, elevare il livello del proprio status fisico e tecnico.

Un lavoro che ormai spesso i giocatori fanno al di fuori della consueta routine di allenamenti, nella quale non sempre si ha il tempo di poter lavorare individualmente sulla propria crescita, e per farlo c’è bisogno dell’aiuto di professionisti che possano dedicare tempo ed attenzioni particolari a questo percorso.

E’ quello che fa Claudio Negri, storico giocatore delle minors locali e non, ora in forza alla Marnatese Basket, con il suo progetto Clash Of Hoops. Nato nel 2019, Clash of Hoops è ormai un punto di riferimento per moltissimi giocatori, anche affermati, che vedono nel lavoro di Claudio e di Ashley Ravelli, quell’opportunità di crescita individuale tanto ricercata.

Claudio, quando e come nasce il progetto Clash of Hoops?
“Nasce nel 2019, appena prima del Covid, dal mio interesse per l’allenamento individuale. L’ispirazione definitiva arriva dall’incontro con Davide Lamma che è stato uno dei primi a lavorare in Italia su questo modello di allenamento e dall’opportunità di lavorare con Samardo Samuels a Milano, che aveva bisogno di fare un recupero sia fisico che tecnico. Un’esperienza che mi è servita moltissimo come trampolino di lancio per iniziare a lavorare con altri giocatori in estate, appena terminata la pandemia. Grazie a Davide riusciamo a impostare un paio di settimane di lavoro off-season a Milano, con giocatori anche conosciuti, che mi dà l’opportunità di lanciare definitivamente il progetto. Importantissimo è stato il lavoro fatto con Riccardo Moraschini durante la squalifica: lavoriamo 5-6 mesi insieme e questo è davvero il punto di svolta del progetto, con il nome di Clash of Hoops che inizia a girare tra tanti giocatori che già conoscevo e non e prende definitivamente vita”.

Come avviene l’incontro con Ashley?
“Con Ashley avevo lavorato nel corso dei primi mesi del progetto ed a fine estate 2021 è nata l’idea di lavorare insieme, strutturando il progetto in maniera decisamente più professionale e mirata alla crescita dei giocatori”.

Ecco, come avviene questo sviluppo?
“Sicuramente un passaggio fondamentale nella crescita del progetto è stato includere tutta una parte video sul giocatore che ci chiede di lavorare con lui. Da lì inizia l’analisi e la valutazione di quelle che possono essere, secondo me, le aree di lavoro su cui andare a centrare l’allenamento e da cui parte poi la strutturazione del percorso di lavoro. Non è l’unica via però, perché a volte sono direttamente i giocatori che già indicano la situazione di gioco o il fondamentale su cui vogliono andare a lavorare, anche perché alla base di tutto sono io a disposizione dell’atleta e delle sue esigenze”.

E’ un lavoro quindi prettamente tecnico o c’è anche una parte di lavoro fisico?
“Il lavoro fisico e atletico puro non lo tratto perché non ho le conoscenze tecniche per trattarlo. Il nostro metodo di lavoro individuale però si basa sull’allenamento attivo, cercando di portare l’atleta a vivere quelle situazioni di stress mentale e fisico che solitamente affronta durante una partita. Nel corso degli anni questo metodo di allenamento ha dato grandi risultati, a detta proprio dei giocatori, che si sono ritrovati perfettamente a proprio agio nell’affrontare una determinata situazione di gioco o un gesto tecnico in condizione di stress in partita. Questa cosa, ovviamente, funziona soprattutto con giocatori di livello un pò più alto rispetto alla norma, come A1 o A2, mentre per i più giovani bisogna fare step diversi, passando prima da uno stress solo fisico e poi aggiungendoci quello mentale, per non sovra caricare troppo il ragazzo”.

Ci sono stati giocatori con cui, invece, avete lavorato con giocatori esperti su un fondamentale non in questa situazione di stress?
“Sì, i due esempi più lampanti sono stati Aradori e Ikangy. Pietro, ad esempio, ha migliorato il suo tiro aperto su ricezione, che prima di lavorare con noi era fermo al 30% e quest’anno in quella situazione ha tirato con il 40%, passando da 15 punti di media a partita a 18 e per noi l’obiettivo è stato raggiunto. Ikangy invece veniva da una stagione in cui aveva perso 18 palloni perché pestava la linea laterale con il piede quando attaccava dall’angolo. Essendo lui un giocatore che tendeva ad avere molti possessi in quella situazione, abbiamo fatto tutto un lavoro per spostare il suo baricentro in avanti, evitando che facesse quel passo indietro che lo portava a pestare la linea e l’anno dopo ha perso un solo pallone in quella situazione di gioco e per noi è stato un grandissimo risultato”.

Le tempistiche del lavoro quali sono?
“Dipendono strettamente dalle disponibilità dell’atleta. Inizialmente il progetto andava avanti solo in estate al Court MLN di Milano, mentre da quest’anno ho iniziato un nuovo progetto al T-Ground di Castellanza insieme al Progetto Ma.Go, con lezioni individuali di un’ora alla settimana anche d’inverno. Questo non è assolutamente un progetto di reclutamento per il progetto Ma.Go ma è aperto a tutti, non è diretto solo al campione della squadra che viene ad allenarsi ma a tutti, soprattutto a quei ragazzi che vogliono migliorarsi individualmente per dare di più alla propria squadra ma che magari nella routine di allenamento di squadra non hanno tempo di fare”.

E’ un progetto aperto a maschi e femmine indipendentemente?
“Assolutamente sì. L’anno scorso abbiamo lavorato con 4-5 giocatori di Serie A e lavorare con le donne è bellissimo, perchè sono più concentrate, instancabili e determinate rispetto agli uomini”.

Per chiunque volesse contattare Claudio o Ashley per scoprire il progetto Clash of Hoops può cliccare qui sotto.

Alessandro Burin

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