Al di là della retorica, che resta comunque parte integrante della vita, certe opportunità sono davvero uniche e l’occasione di lavorare in una piazza come Varese risponde appieno a tale definizione. È il caso di Davide Raineri, direttore sportivo di una certa esperienza che, dopo essersi fatto conoscere lavorando per anni nel territorio, non ha potuto dire no alla chiamata biancorossa.

“Per me è un’enorme soddisfazione personale – commenta lo stesso Raineri – perché è da 40 anni che abito a Vedano e Varese è sempre stato il punto di riferimento della zona. Ho iniziato all’allora Venegonese, poi Solbiatese, Lecco, Verbano, Inveruno, Sant’Angelo e Caronnese. Arrivare a Varese alla mia età è senza dubbio un orgoglio considerando che ho lavorato per 42 anni come metalmeccanico in Svizzera e che il calcio non è mai stata la mia fonte primaria di reddito; solo adesso, in pensione, posso dire che la mia passione è diventata un lavoro”.

Piazze diverse, magari con obiettivi diversi; cosa hanno lasciato?
“Tolto Lecco ho sempre vissuto in società dal bacino d’utenza più contenuto, ma mi sono trovato bene ovunque: sono le persone che fanno la differenza, che determinano le società e, fortunatamente, ho sempre lavorato con persone serie che mi hanno permesso di fare il mio. Mi piace il calcio, tutt’oggi vado a vedere tantissime partite soprattutto a livello giovanile, ma si sa che non è una scienza esatta: si può azzeccare come si può sbagliare”.

In merito a questo, cosa deve avere un giocatore per catturare l’attenzione di un osservatore o, in questo caso, di un direttore sportivo?
“Ad oggi in primis guardo la fisicità dell’atleta, perché il calcio contemporaneo è uno sport molto più intenso rispetto al passato. Altri due fattori imprescindibili sono il tempismo di gioco e la personalità, ma è anche ovvio che un minimo di qualità tecniche debbano esserci; per quel che riguarda un difensore è invece fondamentale l’attenzione. In sintesi sono queste le caratteristiche che ricerco”.

Caratteristiche ricercate anche in estate? Diciamo che il mercato biancorosso è stato un po’ complicato tra Serie D, retrocessione in Eccellenza e ripescaggio in Serie D…
“È stata allucinante. Sono arrivato in Serie D e mi sono messo al lavoro con determinate idee, ma poco dopo siamo finiti in Eccellenza e per avere la certezza della D abbiamo dovuto aspettare il 4 agosto. È stato difficile perché solo Vitofrancesco e Banfi hanno firmato ad occhi chiusi indipendentemente dalla categoria; altri, giustamente oserei dire, hanno guardato alle loro carriere e scelto altre destinazioni. Finché eravamo in Eccellenza ho contattato parecchi giocatori, ben consapevole dell’essere in mezzo al mare; la Serie D ha portato certezze”. 

Anche in Serie D la sensazione è stata che il mercato sia cambiato in corsa rimodulando le aspettative verso l’alto. Qual è la cosa più difficile nel ricostruire una squadra da zero?
“Premetto che a Varese tutti vogliono vincere, noi inclusi, e le ambizioni di vittoria c’erano dal principio. Sapevamo che cambiare tanto non è mai facile, anche perché in un campionato come questo è praticamente impossibile prendere tutti gli obiettivi che ti prefissi. Poi, altra cosa che molto spesso la gente si dimentica, non basta prendere il nome e mettere la pedina in campo: bisogna costruire l’amalgama di squadra e far coincidere gli acquisti con le esigenze dell’allenatore, tenendo conto che le annate storte possono capitare a chiunque. Ho iniziato a costruire una prima squadra per l’Eccellenza, poi tornati in Serie D ho aggiunto altri elementi e per questo ringrazio la società che ha messo a disposizione un budget che non ho mai avuto da altre parti. Qualche punticino l’abbiamo perso, per colpa nostra ma anche per altri fattori su cui non voglio soffermarmi, ma il dato di fatto è che noi crediamo ancora nella vittoria finale”.

La scelta di Corrado Cotta come allenatore?
“Non è un mistero che la mia prima opzione fosse Manuel Lunardon, che alla fine ha temporeggiato e accettato l’offerta del Ligorna. Cotta lo conoscevo da tanto tempo e, anche se inizialmente non ero convinto di portare profilo già a me noto, mi è bastata una chiacchierata con lui per convincermi. Come me anche lui ha visto in Varese una grande occasione, è un allenatore esperto che conosce bene questa categoria e ha fatto una bella impressione anche a Rosati. Il mio rapporto con Cotta? Ci siamo conosciuti credo quarant’anni fa nei tornei estivi e da lì il rapporto è rimasto: negli anni ’90 ero a Lecco come preparatore dei portieri e lui ha iniziato lì ad allenare prima negli Allievi e poi nei Berretti. Non posso definirlo un mio amico stretto, ma è sicuramente una persona che rispetto e un ottimo professionista”.

Non solo direttore sportivo, visto che Davide Raineri nasce per l’appunto come preparatore dei portieri. A tal proposito, com’è stata gestita la situazione in porta? Priori, Cassano, Ferrari… in alcuni momenti è sembrato percepire un po’ di confusione.
“Il mio obiettivo iniziale era Lorenzo Cordaro che, con il Varese in Eccellenza, ha preferito andare a Ravenna; considerando che è in testa al Girone D direi che lui ha fatto bene e che io non ci avevo visto malissimo. Priori non era comunque una seconda scelta, a Bra ha dimostrato tutto il suo valore, e ho integrato il reparto con Cassano che è un ’04; Ferrari è stato in prova e ha convinto il mister a investire su di lui. A questo punto Priori si è sentito escluso e abbiamo optato di comune accordo per la rescissione, anche perché Ferrari, da 2006, ci risolveva un doppio problema legato alla gestione under; purtroppo ha avuto qualche acciacco fisico e, ad oggi, sta giocando Cassano con regolarità”.

Nel corso della stagione è stata allestita una rosa lunghissima che, inevitabilmente, doveva essere sfoltita; la gestione del mercato invernale è stata pensata in tal senso?
“No, nel senso che noi non abbiamo mandato via nessuno e su questo punto voglio essere ben chiaro: chi è andato via è andato via per una sua scelta. Parlo di Monza, che non ha trovato spazio, parlo di Diop, che purtroppo dopo l’infortunio è tornato in gruppo con un reparto decisamente al completo, e parlo ovviamente anche di Guri”.

Approfondiamo il tema dell’addio di Guri?
“Dopo la sconfitta con il Chisola, l’unica partita che abbiamo veramente sbagliato, sapevamo di dover svoltare. Prima dell’allenamento successivo, quanto tutti si erano già cambiati, Rosati ha parlato alla squadra, poi ha fatto uscire i ragazzi e tenuto i senatori facendo loro un altro discorso. Nel frattempo io sono entrato in campo, quel giorno c’era anche Sannino e stavo facendo quattro chiacchiere con lui. Uno dopo l’altro i ragazzi sono usciti dallo spogliatoio: non Guri che, rimasto dentro, si è cambiato ed è uscito dicendo che non se la sentiva di proseguire. Lo ha ribadito anche qualche giorno dopo quando è venuto a trovarci per salutarci: Sindrit è un grandissimo giocatore e una bella persona, ma se si è tirato fuori avrà avuto le sue ragioni e, così come non caccio nessuno, non tengo nessuno controvoglia. Ortelli? Era già venuto in prova in estate, poi ha preferito andare alla Caratese; non ha trovato molto spazio, ci siamo risentiti e ha accettato di venire qui. È un giocatore che seguivo da tempo, secondo me ha ottime caratteristiche in impostazione e da ’04 può tornare utile nelle rotazioni in mezzo al campo”.

Non solo calcio, perché una grande passione di Davide Raineri sono gli sport invernali.
“Sono nato a Schilpario, un paesino di montagna in provincia di Bergamo, e inevitabilmente finisci per appassionarti a tutti gli sport legati all’inverno. Amo lo sci nordico e ovviamente non posso non apprezzare l’hockey: Varese a tal proposito ha una grandissima tradizione ma, senza nulla togliere ai Mastini, lavorando a Lugano sono andato spesso a vedere il Lugano… qualcosa di clamoroso”.

Torniamo al Varese: un voto alla squadra dopo il girone d’andata?
“Io do un bel 7 a questa squadra. Il 3 agosto eravamo in Eccellenza e, inevitabilmente, c’era tanto scetticismo. Abbiamo invece messo su un gruppo, parlo di squadra e staff nel loro insieme, davvero eccezionale e, al netto del -9 dall’Alcione, siamo lì. Un commento sull’Alcione? Parliamo di una società molto forte che ha il direttore sportivo più bravo della categoria, Matteo Mavilla, tra l’altro un ex Varese. L’Alcione programma da anni la scalata al professionismo: hanno iniziato disputando un buon campionato nel Girone D, l’anno scorso hanno messo i bastoni tra le ruote del Lumezzane e in questa stagione vogliono coronare il loro percorso. Noi e altri proveremo a impedirglielo”.

Se il Varese non vince il campionato è un fallimento?
“No, i fallimenti sono altri e lo dico pienamente consapevole del poso di queste parole. Fino a prova contraria il Varese è una neo-promossa; finta, per carità, ma senza il ripescaggio saremmo stati in Eccellenza. Qualora non dovessimo vincere saremmo tutti delusi, io in primis, ma se si tiene quanto di buono fatto allora si potrà avere la base da cui partire l’anno prossimo; un po’ come ha fatto l’Alcione”.

Quali sono dunque le aspettative per il girone di ritorno?
“Nel girone di ritorno tutte le squadre tendono a fare meno punti perché chi sta dietro si sbilancia di meno e, di solito, un pareggio è visto come un risultato molto positivo. Noi, invece, dovremo fare più punti del girone d’andata e, ne sono certo, abbiamo le possibilità per farlo”.

Matteo Carraro

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