Esperienza. Dopo l’addio del “cap” Francesca Vaccaro, l’età media in casa biancorossa è precipitata drasticamente per ovvi motivi di carta d’identità: il Varese Femminile è una squadra giovane, dal potenziale enorme, che per certi versi pecca proprio da un punto di vista esperienziale. Aspetto che si coltiva col tempo, imparando sia dai propri errori sia gestendo al meglio i momenti positivi; aspetto che però viene accentuato dall’avere in squadra una come Dora Ossola. La centrocampista classe ’89 si è presentata al mondo biancorosso nel perfetto stile varesino, in punta di piedi, prendendo possesso della trequarti (con risultati già ottimi) e dimostrando che, alla fine, la carta d’identità è solo un numero.
“Salire di categoria alla mia età era una sfida – esordisce Ossola –, e a me le sfide piacciono. Oltretutto Varese è la squadra della mia città e non potevo non giocarci, considerando che ho esordito alla Cassiopea e nella mia carriera sono transitata dal primo vero Varese Femminile del mitico Gianluigi Dorizzi. Da quattro anni, poi, avevo ripreso a giocare a undici facendo due stagioni al Gorla Minore e una alla Virtus Cantalupo; diciamo che anche la strada da fare, tra lavoro e vita privata, iniziava ad avere un peso e, abitando ad un passo dalle Bustecche, nel momento in cui si è concretizzata la possibilità di venire qui non ho esitato”.
Una carriera “particolare” la tua.
“Ho sempre avuto la passione per il calcio, milanista doc, ma solo a 9 anni i miei genitori mi hanno portato a giocare in una squadra vera, e ovviamente ero l’unica femmina. Fino a Pulcini ed Esordienti ho sempre giocato, salvo poi smettere nel momento in cui l’età non me lo consentiva; ho dovuto anche rifiutare la chiamata del Lugano perché all’epoca l’impegno era troppo gravoso da coniugare con la scuola e quindi per tre anni sono passata alla pallavolo. Il calcio è però sempre stato il mio sport e ho quindi ripreso al Varese finché con il lavoro ho dovuto smettere perché non riuscivo a conciliare gli impegni; non ho mai esitato comunque a mettermi in gioco con calcetti e tornei vari. Diciamo che mi sono sempre tenuta in forma finché mi sono decisa a riprendere giocando a sette e, come detto, quattro anni fa si sono verificati i presupposti per tornare a undici”.
Molte tue compagne più giovani hanno parlato delle “difficoltà” nell’approcciarsi ad uno spogliatoio nuovo. Tu arrivi essendo già tra le più esperte di questo gruppo; come ti sei trovata?
“Alcune ragazze le conoscevo già, altre no, ma penso di essermi integrata bene. Certo, non è sempre facile calarmi nei panni di persone che magari hanno anche 15/20 anni in meno di me, ma in qualche modo mi mantiene giovane (ride, ndr). In generale sono quasi sempre stata la più grande e ogni volta ho cercato di essere d’esempio: mi piacerebbe che le mie compagne mi guardassero pensando di voler arrivare alla mia età con questa stessa passione. Mi piace aiutare, per certi versi è una bella responsabilità e magari, per ovvi motivi anagrafici, non sempre trovo qualcuna che mi consoli o mi dica le giuste parole quando sono io in difficoltà, ma trovo sia fantastico essere qui e rappresentare la squadra della mia città. E, soprattutto, finora non c’è mai stato un problema con questo splendido gruppo”.
E, invece, qual è il tuo rapporto con mister Bottarelli?
“Ci dobbiamo conoscere meglio, anche perché alla fine sono qui da pochi mesi e di fatto siamo quasi coetanei. Ha un carattere particolare e a volte ci sprona a modo suo (sorride, ndr), cazziandoci com’è giusto che sia, ma è davvero preparato e lo spogliatoio è con lui”.
La mentalità è sempre stato un tallone d’Achille di questa squadra. Domanda molto retorica: come ci si lavora?
“Diciamo che è una problematica che ho riscontrato anche in altre realtà e l’unica cura possibile è quella di lavorare su sé stesse. Fin qui non abbiamo praticamente mai sbagliato l’approccio ad una partita, anche se a volte ci facciamo inconsciamente condizionare dal valore dell’avversario: magari in alcune sfide partiamo già sconfitte, in altre siamo già sicure di vincere. Bisogna invece trovare il giusto equilibrio, evitando di prendere qualsiasi match sottogamba”.
Arrivate da tre vittorie consecutive e il prossimo avversario, il Tabiago, è proprio la classica sfida “alla portata”. Qual è il clima attuale?
“Ovviamente positivo, visto il momento, ma proprio in virtù di quanto appena detto è imperativo concentrarsi al massimo sulla prossima partita. Indubbiamente affronteremo una squadra che sta faticando, ma proprio per questo è una grande insidia che va rispettata e affrontata con il giusto atteggiamento. Il rischio di guardare a Como e Doverese? C’è, inutile negarlo, ma non bisogna lasciarsi trasportare dai risultati delle partite perché ogni sfida ha una storia a sé: se vinci hai l’occasione di ripeterti, se perdi puoi subito rifarti”.
Dove può arrivare questa squadra?
“Dal mio punto di vista abbiamo le possibilità di arrivare fra le prime cinque: sarà durissima, ma abbiamo i mezzi per farlo e dobbiamo provarci. Un pregio e un limite? Parto da quest’ultimo: molte ragazze non credono abbastanza nelle loro capacità. Alcune pensano di poter arrivare solo fino a un certo punto, quando invece hanno tutto per fare molto di più. Il pregio non può che essere l’unione dello spogliatoio: al netto delle differenze d’età, ci cerchiamo molto e siamo davvero affiatate”.
Come coniughi adesso l’impegno sportivo con la vita privata? E, soprattutto, chi te lo fa fare?
“In questo sport metto tutta la mia passione perché il calcio, nel bene e nel male, mi ha dato tantissimo e mi ha sempre aiutata nei momenti tristi: è stato una valvola di sfogo, ma anche un modo per raccogliere importanti soddisfazioni personali. Di fatto sacrifico le mie sere e il mio tempo libero per essere qui, ma finché non mi pesa vado avanti. Il sabato, tendenzialmente, è la giornata che tengo per me: vado a fare qualche camminata in montagna, che è un po’ la mia passione, ma senza esagerare perché la domenica devo essere in forma per la partita”.
Obiettivo personale?
“Ogni anno che gioco è per me un anno regalato: mi dico sempre che sarà l’ultimo, e invece vado sempre avanti (ride, ndr). Come ho detto all’inizio mi piace mettermi alla prova, a maggior ragione con gente più giovane: per quanto richieda al mio fisico uno sforzo maggiore, ma fa solo bene e saper di poter aiutare le altre mi sprona. Di solito, con l’età che avanza, si scende di categoria: io invece salgo e, per quanto credo proprio che la Serie C sarebbe troppo per me, mi piacerebbe contribuire a portarci questo gruppo”.
Matteo Carraro