Anche le storie più (av)vincenti, prima o poi, arrivano a un punto finale, come quello che sta per scrivere Franco Tosca sull’ultima pagina di un libro che condensa oltre venticinque anni di calcio dilettantistico.
La sua carriera in veste dirigenziale iniziò al Mornago, all’epoca in Prima Categoria; da lì, dopo un campionato da piani alti della classifica, la chiamata alla Castellettese, appena retrocessa in Promozione. Era la stagione 1998/99 quando il direttore approdò sulla sponda piemontese del Ticino e al primo tentativo riportò la Società in Eccellenza. Due anni dopo, il salto in Serie D, categoria mantenuta per cinque anni; ciononostante, alla scadenza del contratto, l’inaspettata separazione che lo portò ad aprire una piccolissima (e sfortunata) parentesi al Verbano, prima di ripartire con rinnovate energie in Seconda Categoria, a Taino, al seguito dell’amico Michele Paracchini. Una scelta che non poteva essere più azzeccata, dato che il club vinse il campionato con diciassette punti di vantaggio sulla seconda. Dopodiché, Azzate Calcio Mornago – con vittoria dei playoff di Promozione –, Sommese e successivamente SolbiaSommese – sfiorando per tre volte il passaggio in Serie D –, e un breve periodo al Borgomanero.
“Da Borgomanero me ne andai dopo qualche mese – racconta il direttore – perché in vita mia non mi sono mai abbassato a fare il gioco degli uomini di potere. È stato allora che si è presentata l’occasione di andare alla Vergiatese, sempre grazie a Paracchini, a cui era stata affidata la Juniores. All’epoca c’era Bosetti – buon’anima – che stava raccogliendo i cocci di quel che rimaneva della Società; dopo il mio arrivo, da una Promozione mediocre siamo riusciti a vincere il campionato con Gatti in panchina e Cuscunà come direttore sportivo. La Vergiatese è stata casa mia fino all’anno scorso, quando la cedetti a Fraietta. Già da tempo avevo un po’ di nausea di questo calcio, ma siccome c’era un gruppo di calciatori a cui ero affezionato, decisi di continuare e di portarli tutti con me a Castano”.
Ora, però, una decisione più definitiva: quella di lasciare il calcio, con le sue dinamiche in cui fatica a ritrovarsi. “Il calcio di una volta era diverso; o meglio, era il mondo ad essere diverso, perché ai tempi una stretta di mano valeva come una firma su una cambiale. Oggi, invece, in mezzo a tutta questa ipocrisia, interfacciarsi con allenatori, giocatori e dirigenti diventa difficile. Finché ce l’ho fatta con le mie forze e ho preso le mie decisioni, ho ottenuto quello che mi ero prefissato e se ho sbagliato, almeno ho sbagliato con la mia testa. Quest’anno, invece, per evitare scontri, ho preferito non prendere posizione, e sappiamo tutti com’è andata a finire“.
Non mancano, da parte del direttore, parole di gratitudine per l’anno trascorso: “Ringrazio la famiglia De Bernardi, che mi ha dato la possibilità di poter fare calcio a Castano, e mister Garavaglia, con cui ho condiviso gioie e dolori. Chiaramente c’è tanto rammarico per quella che è la mia prima retrocessione, una macchia che porterò sempre con me. Avrei preferito chiudere in maniera diversa, ma dopotutto, come si suol dire, c’è sempre una prima volta. Al di là delle nostre incapacità e dei nostri errori, è girato tutto nel verso sbagliato. A dicembre era stata fatta una campagna acquisti abbastanza buona, ma gli infortuni non ci hanno dato tregua: Roveda si è fatto male alla seconda giornata con la Solbiatese, Ruggeri si è spaccato il legamento in rappresentativa e Marchese è rientrato solo per i playout. La situazione non ha di certo aiutato e diciamo che è stata un’annata disgraziata”.
Tuttavia, la goccia che in questi ultimi anni ha fatto traboccare il vaso, riguarda, come anticipato, questioni di più ampio respiro.
“Nel calcio di oggi, allena chi porta gli sponsor, gioca chi porta gli sponsor, fa il direttore chi porta gli sponsor… Quanta meritocrazia c’è dietro a questi meccanismi? – si chiede Tosca –. Ormai si va avanti per simpatie e si viene cercati non per i propri meriti e le proprie capacità ma per le proprie possibilità economiche. E onestamente, senza nulla togliere agli altri, qualcosa nel calcio ho pur fatto. Magari sono stato un tipo scomodo e sono risultato antipatico a tanti, ma il mio modo di fare mi ha portato a ottenere risultati importanti. Ho dato tanto al calcio e ho anche ricevuto abbastanza, ma ora è giunto il momento di dire basta. Una volta i sacrifici si facevano volentieri perché c’era più serietà e genuinità. Ora sembra un calcio degli zimbelli, dove si pretende di fare i professionisti nei dilettanti, al punto che per contattare i giocatori bisogna prima parlare con i procuratori… in Eccellenza. Sono dinamiche che vanno a incidere sul morale, perché così diventa difficile trovare stimoli e motivazioni. Forse io sono una persona che crede troppo nei valori e la colpa di conseguenza è mia. Personalmente sono fiero di quello che ho fatto con le modeste possibilità che ho sempre avuto a disposizione, da solo o con qualche amico che mi ha supportato. Se avessi avuto il budget di altre società, avrei fatto un altro tipo di calcio, ma nel mio piccolo mi sono sempre difeso abbastanza bene, lanciando anche giocatori in Serie A, come Piovaccari e Calzi, o altri che sono arrivati in D, come Didu, Cacciatori, Campagnaro e Redaelli. Nel mio orticello, mi sento fiero di aver fatto qualcosa di sano e genuino; questo è poco ma sicuro. Tuttavia, siccome questi valori ormai sono una rarità, penso che sia giusto farmi da parte e lasciare spazio a chi sa fingere e ha più fegato di me per sopportare il mondo di oggi. Io sono un uomo che appartiene al mondo di ieri e questo tipo di calcio non fa per me. Lo sport è un impegno e il mio tempo preferisco dedicarlo alle persone vere: la mia famiglia e i miei tre nipotini che amo”.
Il desiderio di uscire di scena è forte. Eppure, alle condizioni giuste, questo portone chiuso a doppia mandata, da un impercettibile spiraglio, potrebbe lasciar filtrare una pur minima possibilità.
“Se ci fosse ancora la possibilità di continuare a fare calcio, sarei disposto a coglierla solo insieme a qualche amico, anche a costo di scendere in categorie inferiori. L’importante, però, è che si facciano le cose in modo genuino. Solo in quel caso potrei ancora ritagliarmi un po’ di tempo, altrimenti non farò marcia indietro”.
La chiusura con queste parole: “Grazie al calcio, grazie a tutti. E spero che qualcuno si ricordi di me. Chiedo scusa a chi eventualmente si è offeso per le mie parole, ma questo è Franco Tosca, un uomo vero che dice sempre quello che pensa”.
Silvia Alabardi