Gianni Chiapparo ha detto basta. L’ha fatto a modo suo, in un modo che rispecchia il personaggio: schivo e senza mai voler apparire. Partito dalla natia Avigno, Gianni ha percorso oltre 50 anni nel mondo della pallacanestro toccando e costruendo la sua personale ciliegina sulla torta: lo scudetto della stella dei Roosters. È, però, ampiamente riduttivo fermarsi qui su una carriera iniziata quasi per caso nel lontano 1974 (e che, parole sue, gli ha dato 50 anni di esperienza nello sport e zero come perito tessile):

“Finite le superiori avrei voluto fare medicina – ricorda Chiapparo -, ma ero rimasto orfano di padre e il bilancio familiare non mi permetteva tale scelta. Un amico mi convinse a iscrivermi all’Isef: andammo alla Cattolica a Milano e, fra l’altro, era l’ultimo giorno utile per iscriversi per il concorso. Una bella dose di fortuna…Poi, insieme agli studi, nel ’75 sono andato a giocare a Gallarate. Siccome vi era l’obbligo di avere almeno una squadra giovanile ecco che da lì è nata la passione per l’insegnamento e l’allenamento. L’anno successivo abbiamo aggiunto anche il minibasket ed è stato un successo: avevamo più di 500 ragazzi. Con Gallarate andai avanti fino agli anni ’80: dopo due anni in C nell’81/82 finì la benzina…”.

E allora si apre la prima porta in casa Varese sponda Robur et Fides.
“Il compianto Aldo Monti mi volle in gialloblu affidandomi il compito di gestire la parte tecnica. In quella Robur c’era anche Franco Passera e io allenai anche direttamente il gruppo ’66 che era fortissimo. Col passare degli anni divenni anche responsabile del settore giovanile e allenatore della prima squadra: il primo anno andò molto bene, il secondo un po’ meno. Mi dimisi e tornai nell’alveo del settore giovanile, ma avevo capito che il mio ciclo in Robur si stava chiudendo”.

Ancora una volta, però, le porti girevoli della vita si aprono con un’occasione da prendere al volo.
“Mi chiama Lamberto Calore che mi affiderà la gestione dei gruppi delle fasce basse: Under 13 e Under 14 insieme a Matteo Miglio. Coi ragazzi classe ’77 vinciamo il titolo regionale battendo in finale Milano. Anche qui feci la mia trafila divenendo responsabile del minibasket e nel periodo 89-93 avevo la responsabilità anche dei primi due anni di settore giovanile. Poi nel 93/94 il gm Cappellari mi propose di fare da vice a Dodo Rusconi nella prima squadra. Furono anni in cui imparai anche a fare pratica da dirigente visto ciò che accadde dopo. Già perchè ad inizio ’96 volli parlare con Cappellari per chiedergli di tornare ad occuparmi solo del settore giovanile. Lui fa abbastanza tranciante: “fra due mesi farai quello che voglio io” la risposta del dirigente”.

Col senno di poi, due mesi dopo ti affidò il ponto del comando?
“Era l’aprile del ’96 quando Cappellari mi convoca e mi dice di aver accettato l’offerta della Fortitudo Bologna. Poi aggiunge di aver fatto il mio nome alla proprietà per sostituirlo come GM di Varese. Fu così che mi ritrovai a costruire la prima Varese e la prima riunione a maggio con Edoardo Bulgheroni e Rusconi fu abbastanza vivace. Cerchiamo un giocatore che ricordi Komazec e la scelta cade su Nikola Loncar mentre, con Petruska infortunato, la scelta cade su Russ Millard, ala americana convinti che Damiao, Morena e Van Velsen possano fare bene. A novembre si rende necessario l’innesto di un lungo: Howard o Petruska? Non ci penso su molto, Richard lo conosciamo bene e sappiamo cosa ci può dare. Finiamo bene al sesto posto, ma Dodo Rusconi decide di andare via”.

Mai cambio allenatore fu più propizio viene da dire.
“Volevamo qualcuno che continuasse il lavoro svolto da Dodo. La scelta cade su Recalcati il cui agente era Storelli: finiti i playoff con Bergamo lo ufficializziamo. Come straniero avrei voluto Stombergas, ma Volkov, molto amico di Recalcati, gli parla di questo suo connazionale Lochmanchuk. Giocatore molto più adatto a noi e al nostro sistema anche se nel primo mese a Varese ci è costato di più in telefonate che di albergo! Peccato che una brutta distorsione al ginocchio lo fermò in quel di Reggio Emilia: rifirmammo Komazec che si stava allenando da noi dopo l’infortunio avuto nella stagione precedente”.

Fu un anno favoloso chiuso al terzo posto e tornaste in Eurolega.
“Già, in quegli anni e anche nell’anno dello scudetto avevamo il terz’ultimo budget della serie A. Giocavamo con giocatori varesini e avevamo a libro paga solo due case e due macchine per gli stranieri. Oggi è un mondo completamente diverso…e quel terzo posto ci portò a richieste esose da parte degli agenti di Komazec e Petruska. Dovemmo rinunciare a loro, ma ci accordammo con Mrsic. L’avevamo già firmato l’anno prima, ma doveva svolgere il servizio militare in patria e firmò per Zagabria a soli 40mila dollari. Lo ricercai e, nonostante un’offerta superiore di ben 50mila dollari da parte di Granada, Mrsic accettò la nostra offerta. Fu anche l’anno del ritorno di Vescovi: una trattativa nata al bar e finita con Cecco che ci firmò un contratto in bianco. Un gesto di estrema fiducia da parte sua. Firmammo Zanus Fortes grazie ai buoni uffici di Galleani che lo aveva visto in Nazionale e se ne era innamorato (Gianni, lui ha piedi veloci, ndr). Volevamo un lungo importante: sondai Frosini della Virtus, ma aveva costi per noi improponibili. Poi la Fortitudo aveva necessità di sfoltire la rosa: fu così che nacque l’accordo per avere Galanda sotto il Sacro Monte. Ci mancava il lungo: Alberto Dal Cin, ai tempi scout di Detroit, mi parla di Santiago che è ai Mondiali di Atene. Prendo l’aereo e guardo tutte le gare delle nazionali cosiddette minori per scovare qualche talento. Alla fine la scelta cade comunque su Daniel: due anni di contratto e i primi mesi vive in casa insieme a Bianchi”.

Sappiamo tutti come andò a finire poi…uno scudetto favoloso. Come tutte le storie, purtroppo, c’è una fine. Il tuo nome, però, è legato anche a quello di Pavel Podkolzine, il gigante russo approdato alla Nba da Varese.
“A quei tempi, grazie al legame con l’agente Capicchioni, ero il gm dei San Pietroburgo Lions, squadra russa che, però, si allenava al Campus. Grazie a quei contatti venni a sapere di un ragazzino alto 2,17 di Novosibirsk. Ci aspettavamo qualche romanzo e di trovare sì un ragazzo alto, ma non di quelle dimensioni: ricordo ancora la faccia stupita che feci la prima volta che lo vidi. Era davvero grande e che fisico! Purtroppo il nostro errore è stato che non lo abbiamo educato bene. Lui aveva uno spirito un po’ frizzante, ha creduto di poter diventare una stella senza essere serio nel suo lavoro. Nel 2003 girammo ben 19 franchigia Nba, poi a Memphis Jerry West ci disse che gli avevano trovato un tumore alla ghiandola pituitaria. Quella del gigantismo per intenderci. Lo curammo e poi nel 2004 venne scelto: Utah che lo girò a Dallas. Purtroppo anche lì non capì che era solo all’inizio della sua avventura…Sapete che ora fa l’attore in Russia?”.

Una storia incredibile. Un po’ come la tua che sei tornato al primo amore, il minibasket.
“Sono tornato ai bambini e ora a Gazzada abbiamo 150 bambini. Oggi poi è cambiato tutto: ero molto positivo riguardo allo svincolo, ma ho visto cose in queste mesi veramente difficili da mandare giù. Ho fatto il responsabile in settori giovanili dove vi erano budget superiori a quelli attuali, ma avevamo la decenza di aspettare la prima superiore per portare un ragazzo da noi. Per non parlare di tanti che vogliono vincere a tutti i costi senza costruire nulla”.

Gianni dalle tue parole traspare stanchezza.
“Sì, ci sono tanti motivi per cui ho deciso di smettere di allenare. Ho finito la benzina della componente agonistica del gioco. Continuerò a insegnare pallacanestro ai bambini che sono la parte più pura. Ringrazio tutti quelli che mi hanno permesso di vivere 55 anni di sport. Tutti i ragazzi/e che ho avuto a basket, i colleghi e i dirigenti sia a scuola che nello sport. Senza di loro nulla sarebbe stato possibile e mi considero immensamente fortunato per questo!”.

Matteo Gallo

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