Andrea Meneghin il prossimo 20 febbraio 2024 compie 50 anni. Lo conosco da 45. Lo conosco sin da quando, anno domini 1979, lo vidi zampettare nella pancia di Masnago in attesa che Dino, suo padre, uscisse dagli spogliatoi.

Più o meno una decina d’anni dopo, nel pallone pressostatico che ai tempi era stato posizionato alla sinistra dell’entrata del palazzetto, lo rividi fare il tifo per i suoi compagni mentre lui, Andrea, bloccato da un doloroso problema al ginocchio, alzava piccoli manubri per rinforzare braccia e spalle.

Alla fine, lo sapete tutti, quei piccoli pesi sollevati giorno dopo giorno con tenacia e pazienza lo hanno fatto diventare un giocatore dotato di una forza fisica impressionante. La “nostra” storia prosegue con le decine di occasioni avute per ammirarlo a livello giovanile come giocatore appartenente ad un’altra galassia. E, infine, con la mia ovvia presenza al suo esordio in serie A.

Da quel momento in poi Andrea, come giocatore, è entrato in una dimensione “stellare“, quella che appartiene solo ai grandissimi del basket. Dei suoi circa quindici anni trascorsi ad altissimo livello – nel 1999, per dire, è stato eletto miglior giocatore europeo – si conosce praticamente tutto ed è davvero inutile che io, nel merito, mi dilunghi.

Così, sempre nel merito, è meglio si dilunghino nella descrizione del “Menego” giocatore e uomo i tanti ai quali, in modo del tutto naturale, Andrea ha regalato privilegi assoluti e impagabili: l’averlo conosciuto, averci giocato insieme, averlo avuto come amico, aver goduto della sua straordinaria simpatia/empatia e del carattere fantastico che ne hanno fatto un uomo a cui, come mi hanno detto tutti: “Andrea? Non puoi non volergli un bene dell’anima…”

A tutti loro, che ringrazio per la gentilezza e grandissima disponibilità dimostrata nei nostri confronti – miei e del Menego, ovviamente -, ho chiesto di prendere fra le mani la tavolozza dei ricordi e disegnare un “ritratto” di Andrea come giocatore e come uomo e, poi, rifinire il tutto con una bella e divertente “cornice” di aneddoti.

DINO  MENEGHIN, papà

“Memorie di gioventù? Giocare a basket dietro casa con mio figlio Andrea e impegnarmi garbatamente a farlo vincere. Memorie di maturità? Giocare a basket contro mio figlio Andrea in campionato e impegnarmi garbatamente a farlo perdere”.

Queste frasi, tratte da uno spot pubblicitario girato dal grande Dino per l’Adidas mi sembrano oggettivamente il miglior modo per introdurre le considerazioni che “Menego senior” propone per celebrare i 50 anni del suo figliolo: “Mmmmh, parlare di mio figlio? Descriverlo nei suoi mille aspetti che ai miei occhi sono tutti interessanti? Impresa mica facile però posso provarci – risponde in tono emozionato Dino -. Prima di tutto direi che Andrea, come giocatore, è stato decisamente precoce perchè fin da giovanissimo ha fatto intuire le sue grandissime potenzialità tecniche, fisiche e atletiche che, non a caso, hanno indotto dirigenti e tecnici di Pallacanestro Varese ad inserirlo, a soli 15 anni, nel “roster” della serie A. Poi, da lì in avanti, Andrea ha imboccato la strada, va da sè virtuosa, di una crescita continua che nel corso degli anni lo ha portato come tutti sanno al titolo di miglior giocatore europeo. Un riconoscimento assolutamente meritato anche perchè Andrea lungo il percorso, inizialmente tutt’altro che facile, ha dovuto suo malgrado giocare sempre due partite. La prima, tutto sommato semplice, è stata quella contro gli avversari sul parquet. Nella seconda, davvero durissima, ha dovuto sconfiggere l’enorme peso del paragone e del continuo, e a mio parere sbagliatissimo, confronto col padre proposto da tutti quanti: tifosi, mezzi di comunicazione, giocatori, allenatori, addetti ai lavori. Quindi orgogliosamente affermo che va suo esclusivo merito l’essere riuscito, con bravura, talento, carattere e coraggio, ad allontanare la mia figura. Tant’è vero che se all’inizio della sua brillantissima carriera Andrea veniva riconosciuto come “il figlio di Dino”, in seguito i ruoli si sono giustamente e legittimamente invertiti e, quindi, io sono diventato “il padre di Andrea”. Sotto il profilo tecnico non credo ci sia nemmeno bisogno di elencare le sue grandissime qualità e, del resto, i risultati sono lì a dimostrare una cosa: quello che Andrea è stato capace di fare nelle sue stagioni ad altissimo livello resterà nella storia della pallacanestro italiana ed europea. A questo proposito ricordo il volto felicissimo, ma soprattutto le parole di coach Tanjevic alla fine degli Europei 1999 in Francia. Boscia, con la medaglia al collo, mi disse: “Grazie a tuo figlio, al suo fenomenale talento e grandissima generosità, ho finalmente realizzato il mio sogno come allenatore: avere al centro del campo un playmaker di due metri capace di fare tutto e molto bene”.

Prosegue: “L’unico grandissimo, enorme rammarico che mi porto dentro da padre e appassionato di basket è che le stagioni vissute al top da Andrea sono state troppo poche a causa della sfortuna che, nei confronti di mio figlio, è stata davvero cieca e soprattutto senza pietà. I guai fisici che lo hanno costretto ad un prematuro ritiro dalle scene agonistiche ci hanno privato di un talento incredibile che, diversamente, ci avrebbe deliziato per altri 7-8 anni.  Invece, se possibile, le sue qualità sotto il profilo umano superano di gran lunga quelle come giocatore. Andrea è diventato una bellissima persona: gentile, sempre disponibile, affabile, allegro, semplice, cordiale, mai sopra le righe, dotato di altruismo e naturale predisposizione verso il prossimo felice di stare in mezzo alla gente ma sempre con una apprezzabile cifra di umiltà e riservatezza. Oggi Andrea è un uomo definito, compiuto, realizzato nella sua vita professionale e famigliare come un bravissimo papà, attento nel modo giusto all’educazione e ai bisogni delle sue due figlie”.

“Nel corposo capitolo degli aneddoti mi piace ricordare i momenti belli trascorsi insieme, soprattutto in estate, lungo la sua infanzia e adolescenza. Andavamo spesso in vacanza in Sardegna oppure a casa di mio padre nel Bellunese e, girando in bicicletta, Andrea non mancava mai di farmi notare che avevo “un gran culone”. Ricordo la sua faccia terrorizzata e piena di paura quando, in gita insieme al alcuni amici, lo costringemmo ad attraversare un instabile e pericolante ponte tibetano. Di contro ho in mente il viso raggiante di gioia di Andrea quando, in Sardegna, festeggiando il compleanno di un amico proprio lui diede il “la” ad una incredibile serie di torte in faccia che nemmeno nelle comiche di Stanlio e Ollio. Infine, ti offro un aneddoto legato alla pallacanestro. Un pomeriggio di fine primavera andiamo insieme a giocare un 5 contro 5 al campetto dell’oratorio di Biumo. Andrea, che pur avendo 10-11 anni teneva tranquillamente il campo contro ragazzi più grandi e fisicati, ad un certo punto della partitella, anche se pressato e ostacolato da mille mani mi fa partire un passaggio schiacciato a terra di notevole bellezza e tutti quanti, io per primo, ci fermiamo per dirgli “Bravo!” Ecco, in quel preciso istante, ho capito che quel ragazzino lungo, magrissimo, tutto ossa, sarebbe diventato un giocatore”.

Massimo Turconi

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