E’ tutta colpa di Bialaszewski. E’ questo il commento più ricorrente che il post sconfitta della Pallacanestro Varese contro la Dolomiti Energia Trento per 90-84 riecheggia dal popolo biancorosso.

Un sentimento che non è figlio della sola sconfitta in terra trentina, ma che è ormai quasi diventato mantra di una stagione nata male che però ha la possibilità di chiudersi, quanto meno, con l’obiettivo minimo ma fondamentale per la “sopravvivenza” varesina, ovvero la salvezza.
Un sentimento figlio, molto probabilmente, di quella difficoltà nell’assimilare una nuovo filosofia di basket che è lontanissima da una cultura cestistica con cui, in Europa, siamo nati, cresciuti ed abituati a vedere la pallacanestro.

Tutti i tifosi varesini chiedono a Bialaszewski di essere molto più allenatore, gli imputano di non saper leggere determinate situazioni, di sbagliare tante letture, di non dare mordente alla squadra. A Trento, di errori coach B. ne ha fatti, soprattutto in un ultimo quarto che ha visto Varese perdere man mano il filo del match senza riuscire ad invertire una rotta che ha portato poi al “naufragio”. Ci si sarebbe aspettati una svolta, la lettura dell’allenatore capace con un paio di mosse a sorpresa di cambiare il corso del match a proprio favore.
Tutto questo è vero ma non è circoscrivibile ad un basket che non vive di questo, ma bensì di un sistema analitico e programmatico di scelte che di mosse a sorpresa non ne prevede.

Il nuovo sistemato di basket basato sulle analytics richiede una ferrea osservazione delle regole che la gestione analitica della pallacanestro targata Moreyball impone. Il che significa accettare di giocare un basket nel quale non si adegua il proprio piano tattico all’avversario ma si esegue sempre lo stesso spartito, cercando di migliorarlo di volta in volta; non esistono piani diversi da quello principale, in cui è sempre meglio prendere un tiro da tre che uno da due perché statisticamente ti può far fare un punto in più, così come è meglio subire un canestro da due punti (come tante volte accade nell’attacco in post basso a Varese) piuttosto che prenderne uno da tre punti; non si possono improvvisare cambi o rotazioni diverse perché il sistema indica la direttrice da seguire durante la partita. Un basket in cui l’improvvisazione sta a zero e la scelta sistematica di una giocata è tutta studiata e ben ideata a monte.

Un basket in cui si contrappone per certi versi la libertà che viene lasciata ai singoli interpreti in campo ad una molto più stringente guida tattica in panchina. Si crea qui il problema principale di una tifoseria che chiede a Bialaszewski di essere molto più allenatore e di una società che invece appoggia il lavoro di coach B., perché ben interpreta le idee di pallacanestro che il nuovo corso vuole esprimere.

Idee che vedono molto più nei giocatori che nella guida tecnica i veri artefici del destino della squadra: l’esempio lampante è stata la scelta a metà stagione di prendere Mannion e Spencer, invece di esonerare Bialaszewski; oppure la scelta, in due anni, di mettere a capo della squadra due figure (Brase prima e Bialaszewski poi) che ancor prima del bagaglio tecnico e tattico, avessero grandi capacità umane e di relazione con il gruppo di giocatori.

Nella stagione di Varese, quest’anno, c’è un filo conduttore che è la discontinuità: un filo conduttore non banale perché è chiara dimostrazione di un basket molto legato alle giocate dei propri interpreti in campo. Una discontinuità che, dall’arrivo della coppia Mannion-Spencer, ha saputo avere tanti alti rispetto alla prima parte di stagione, ma che in partite come quella di Trento dove il Red Mamba e Hanlan giocano una brutta partita, porta alla sconfitta.
Una discontinuità in cui, per quanto si possa chiedere, anche a ragione, a coach B. di essere molto più allenatore,  si deve essere consci che il destino biancorosso sta molto più nelle mani di chi calca il parquet rispetto a chi sta seduto, in piedi, o accovacciato, davanti alla panchina. E’ stato così l’anno scorso, è così quest’anno e lo sarà anche l’anno prossimo.

Alessandro Burin

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