Difensore o attaccante non fa differenza: Michele Vignoli Sanin si è subito calato nella realtà dei Mastini mettendosi a totale disposizione di coach Czarnecki e della squadra. Fisico imponente (193cm per 90kg), il classe ’00 ha fin qui messo a referto un gol e quattro assist (poco, per sua stessa ammissione), ma ha saputo dare il suo contributo in ogni match giocato. Incluso quello di sabato ad Appiano ed è proprio dalla vittoria ai rigori sui Pirati che parte la nostra chiacchierata: “Giocare in trasferta non è ma facile: all’inizio siamo stati distratti e due errori palesi ci sono costati due gol, poi abbiamo dominato il secondo drittel rientrando in partita e nel terzo periodo c’è stato un po’ più di equilibrio. Alla fine siamo stati lucidi nel gestire al meglio l’overtime per poi vincere ai rigori”.

Sia nella prima parte della regular season sia attualmente nel Master Round, i Mastini hanno dimostrato di aver la miglior difesa…
“Sì, ma avere la miglior difesa ha anche i suoi contro nel momento in cui la squadra non riesce a capitalizzare quanto si costruisce davanti”.

Riflessione interessante e, per certi versi paradossale: i Mastini concedono poco e subiscono tanto, mentre creano tantissimo e segnano “poco” per quelle che sarebbero le possibilità giallonere. Come te lo spieghi? Sfortuna? Avversari che danno il massimo contro i campioni in carica?
“Dal mio punto di vista, molto semplicemente, a volte cerchiamo di fare azioni troppo belle: in alcuni casi è forse meglio buttar dentro i classici gol sporchi, magari sui rebound, senza badare all’estetica. Di mio non credo alla sfortuna, ma è innegabile che tutti contro Varese diano il massimo, soprattutto qui alla Acinque Ice Arena: gli avversari sanno di venire a giocare davanti al miglior pubblico dell’intera IHL e fanno di tutto per non sfigurare. Siamo però maturi a sufficienza per poter dire che le sconfitte patite fin qui sono solo colpa nostra e nei playoff lavoreremo per cambiare passo”.

Tu invece come stai? Com’è andata la fase di ambientamento e come sta procedendo la tua stagione?
“Credo che a Varese non si possa non ambientarsi al meglio: c’è tutto, da una città fantastica a dei tifosi super, senza dimenticare un gruppo davvero unito. Mi sono sentito accolto fin dal principio anche se, arrivando da un infortunio alla mano, ho faticato soprattutto all’inizio. Facendo autocritica dico che la mia stagione è fatta di alti e di bassi, ho patito per quelle settimane di assenza a causa della lussazione alla spalla, ma sono tornato più carico di prima; mi dispiace per la semifinale di Coppa Italia persa qui, è stata una botta bella forte, ma è stata un’occasione per fare gruppo e ripartire a livello sia individuale che collettivo”.

Hai notato differenze nel modo di assimilare quella sconfitta da parte dei “nuovi” rispetto ai senatori?
“Tutti, ognuno a modo suo, avvertivamo una certa pressione per quella partita. Pressione positiva, sia chiaro, ma che potrebbe aver giocato un brutto scherzo: io e gli altri più giovani sentivamo di doverci dimostrare all’altezza di chi era qui l’anno scorso, mentre i senatori sapevano bene che rivincere non è mai facile né scontato. Ne è uscita una buna partita, ma che purtroppo abbiamo perso. Ci siamo riuniti nello spogliatoio e ci siamo detti che tutti noi dovevamo fare quel passo in più negli allenamenti, dentro e fuori dal ghiaccio. Solo così potremo arrivare a giocarci la finale del campionato”.

Tornando a te, sei un difensore “atipico” nel senso che ti piace molto giocare all’attacco. Hai detto a microfoni spenti che ti aspettavi di segnare di più: i gol te li stai tenendo per i playoff?
“Me lo auguro (ride, ndr). Diciamo che, ricollegandomi al discorso di prima, non sempre sono stato lucido nello sfruttare le occasioni avute. Io sono arrivato da difensore, ma in passato ho giocato in attacco e anche il coach ha detto che mi vedrebbe bene là davanti per come uso il fisico; in qualche partita mi ha schierato come attaccante e vedremo se l’esperimento si ripeterà, Avrei senz’altro voluto segnare di più, ma sto facendo il mio dovere ogni giorno”.

A tal proposito nell’hockey non esistono solo le statistiche, ma anche e soprattutto la sostanza messa sul ghiaccio. E, a livello di prestazione, non ti si può imputare nulla.
“Ogni volta che vengo chiamato in causa provo soprattutto a darà fisicità, freschezza e velocità alla squadra. Sono il classico giocatore a cui piace usare il fisico, ma in una lega come l’IHL questa peculiarità è anche un boomerang: essendo tra i più alti mi è capitato spesso di prendermi 2’ di penalità per una carica che, contro un avversario della mia stazza, non sarebbe stata fischiata. Sto cercando di calibrare la portata degli interventi perché so quanto sia dannoso per la squadra restare in inferiorità”.

Fisico che curi particolarmente anche per l’altra tua grande passione, il windsurf. Pratichi due sport praticamente opposti: dal ghiaccio all’acqua, dal freddo al caldo. Come ti sono nate queste passioni?
“Sono nate e convissute fin da quando ero piccolo. Papà Massimo era un giocatore di hockey, mentre mamma Margherita mi ha messo su una tavola da surf a due anni: ogni estate andavamo a Porto Pollo, in Costa Smeralda, e lasciarmi cullare proprio dalla tavola era l’unico modo per farmi dormire. Da lì non ho mai smesso: stavo in acqua dalla mattina alla sera e fin da subito ho imparato ad andare al largo da solo. In inverno sciavo, pattinavo, e giocavo a calcio; in estate vivevo per il windsurf; tutt’oggi passo otto mesi e mezzo sui pattini e l’estate al mare, dove sono istruttore. Ho trovato un mio equilibrio, non so spiegare a parole la sensazione di togliersi i pattini e buttarsi in acqua: posso solo garantire che entrambi gli sport danno un’adrenalina pazzesca”.

Cos’hanno in comune questi due sport?
“Un po’ di sana follia (ride, ndr), ma anche tanta concentrazione a livello mentale. Io personalmente mi diverto come un bambino in entrambi i casi, soprattutto quando c’è il mare in condizioni estreme: quando trovi onde che vanno a 30/40 nodi (dai 55 ai 70km/h, ndr) e prendi velocità pazzesche devi trovare il perfetto equilibrio fisico e mentale per riuscire nelle manovre ed evitare di farti male. Sia windsurf che hockey, comunque, ti formano come persona. Il mare più bello? Ho viaggiato tanto, ma la Costa Smeralda non si batte: davanti a Porto Pollo c’è un’isola dell’arcipelago di La Maddalena, Spargi, e spesso ci vado sulla tavola percorrendo quei due o tre chilometri sul mare”.

Tra windsurf e hockey hai girato il mondo: cosa ti hanno lascato queste esperienze?
“Mi hanno fatto crescere, sia a livello sportivo sia soprattutto come persona. Anzi, invito qualsiasi giovane che ne ha la possibilità a lasciarsi andare, buttandosi senza paura perché sono esperienze di vita che restano per sempre e ti anno acquisire subito una certa maturità. Io mi sono subito sentito una persona migliore, ho imparato a conoscermi e a relazionarmi con gli altri: sono esperienze che ti formano”.

Posto che l’Italia è abbastanza indietro, cosa cambia nel modo di vedere l’hockey all’estero? Tra l’altro tu sei stato negli USA e in Finlandia, due Paesi che masticano hockey quotidianamente
“In Italia i costi di gestione dei palazzetti sono folli e lo Stato, eccezion fatta credo per le Regioni a statuto speciale come Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, non incentiva le società. Mio padre, ad esempio, allenava una piccola realtà amatoriale a Bologna che oggi non esiste più; bisogna fare un plauso a tutte quelle realtà che vanno avanti con enormi sacrifici. La Federazione, poi, dovrebbe investire molto di più sulla formazione di tecnici e giocatori: non è un caso che già in IHL ci siano tanti allenatori stranieri, mentre la maggior parte dei giocatori arrivano al punto in cui o vanno all’estero o smettono di giocare. Crescere si può, basta volerlo”.

Torniamo al campionato. Mastini a riposo, qual è il tuo pronostico per Alleghe-Pergine e Caldaro-Appiano?
“Spero palesemente che vinca l’Alleghe perché sarebbe bello chiudere al primo posto, anche perché abbiamo più di qualche rimpianto per la sconfitta contro il Pergine: è stata una partita stranissima, una delle più belle che abbiamo giocato, eppure l’abbiamo persa. Anche lì, però, colpa nostra: con una squadra del genere non puoi permetterti di stare sull’1-0. Per il derby altoatesino dico Caldaro: sarà poi bello chiudere la stagione contro di loro sabato sera”.

Chiudiamo con la tradizionale domanda sui tifosi: hai detto che ti sei subito sentito accolto, qual è il ricordo più bello fin qui?
“Non posso dirne uno, perché la tifoseria varesina è davvero unica in ogni frangente: anche quando perdi e li trovi fuori dal palazzetto o al bar non ti fanno mai pesare nulla, ma sanno sempre trovare le parole giuste. L’ultima trasferta è stata importante per motivi personali e mi ha fatto capire i valori umani che questo pubblico si porta dentro: anche per questo voglio riuscire insieme alla squadra a ripagarli con la vittoria del campionato”.

Matteo Carraro

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