Passare dal calcio maschile a quello femminile richiede una gran dose di coraggio. Affermazione non certo tratta da puerili stereotipi, ma da una voglia di mettersi in gioco che non tutti hanno. Omar Cremona, ex portiere classe ’80, non ha dubitato nel farlo e dall’anno scorso allena gli estremi difensori del Varese Femminile di Andrea Bottarelli.

A suo tempo il tecnico ci aveva motivato la sua scelta, e altrettanto fa il venegonese (varesotto doc nonché super tifoso da sempre dei biancorossi). Una bella e soddisfacente carriera a guardia delle porte di Castiglione, Malnatese, Viggiù, Belfortese e Vedano (giusto per snocciolare qualche nome), l’ha portato ad abbracciare il percorso da allenatore: Cantello, Azzurra Locate (dal settore giovanile fino alla prima squadra) e Malnatese per poi effettuare il salto e passare al femminile.

Perché? “Mi piacciono gli stimoli – risponde senza indugi il preparatore dei portieri biancorossi – e una sfida del genere era un’occasione davvero importante per ampliare il mio bagaglio. Conosco da tempo mister Bottarelli ed è stato lui a contattarmi. Poi il Varese è sempre stato parte della mia vita: quando giocavo la domenica, al termine della mia partita la prima cosa che facevo era andare a vedere cosa aveva fatto il Varese e, negli anni della Serie B, avevo ovviamente fatto l’abbonamento. Non potevo dire di no. Mentalmente è stato davvero faticoso all’inizio, ma sono contento della scelta che ho fatto”.

Per quel che ti riguarda cosa cambia dal mondo maschile a quello femminile?
“Generalmente non ci sono differenze a livello di metodo, ma cambia inevitabilmente il modo di approcciarsi. Le ragazze tendono ad essere molto più chiuse, difficilmente danno confidenza subito, mentre con i ragazzi l’approccio è più immediato; non a caso i primi mesi mi capitava di tornare a casa e interrogarmi sull’allenamento appena svolto, per capire se avevo detto qualcosa di sbagliato o no. Prima di iniziare mi sono confrontato con altri che avevano già avuto esperienze con il calcio femminile e ho studiato il “portiere femminile”. Non ci sono differenze nei gesti tecnici, ma c’è chiaramente un gap strutturale: le ragazze peccano sulla forza e hanno magari una frequenza passi diversa, ma per il resto la tecnica è sempre quella e ci si lavora indipendentemente dal genere”.

Posto che è un discorso molto soggettivo soprattutto all’interno di uno stesso genere, per quella che è la tua esperienza hai riscontrato differenze di mentalità?
“Hai detto bene: la mentalità è un discorso estremamente personale che trascende il genere. Anche in questo caso, però, cambia l’approccio nell’affrontare, ad esempio, l’errore. Io non do mai peso allo sbaglio in quanto tale, ma come prima cosa cerco di rincuorarle. Poi, il martedì a mente fredda, torniamo sull’episodio per analizzare l’errore, ma senza rivangare ciò che è stato anche perché sono abbastanza mature da riconoscerlo e le prime a lavorare per correggerlo”.

Ne stiamo parlando senza nominarle: cosa puoi dire di Alessia Bogni e Alice Meloni?
“Che oltre ad essere due bravi portieri sono prima di tutto due brave ragazze, propositive e vogliose di migliorarsi. Purtroppo Alice è stata sfortunatissima perché lo scorso anno ha dovuto recuperare dalla rottura del crociato, quest’anno si è fatta male all’altro ginocchio e solo da qualche mese ha ricominciato a lavorare. Alessia… ad averne di portieri così, è davvero forte. Entrambe, proprio per il discorso fatto in precedenza, sono facili da allenare e agevolano il mio compito. Poi io dico sempre che la perfezione non esiste: hanno compiuto passi da gigante, in situazioni particolari come possono essere i cross e nel coprire meglio lo spazio della porta, ma c’è sempre spazio per migliorare”.

Pregi e difetti di entrambe?
“La disponibilità è un pregio che fa parte del loro essere e si riscontra anche nel semplice gesto di accettare qualsiasi esercizio io proponga, anche quelli che io stesso riconosco essere i più noiosi. Il difetto è che pensano troppo, in particolar modo Alessia tende a non lasciar correre e a rimuginare troppo laddove commette degli errori. Anche da questo punto di vista, comunque i passi avanti non mancano”.

E sulla stagione in generale cosa possiamo dire? Ora la squadra viaggia sui ritmi che ci si poteva aspettare, mentre per quel che riguarda la porta i passi avanti si sono visti sin dal principio.
“Sicuramente aver raccolto qualche clean sheet in più gratifica il lavoro che stiamo facendo. Peccato per tutti quei problemi di inizio stagione: anche noi dello staff faticavamo a capire il perché. Ora, però, ne siamo usciti e, seppur ci sia il rammarico di averlo fatto solo nel girone di ritorno, vogliamo sfruttare l’onda positiva per provare una piccola grande impresa in Coppa Italia contro il Lesmo (il 5 maggio l’andata della semifinale, il 12 il ritorno)”.

Lesmo squadra d’altra categoria: affrontare attaccanti così forti è più allenante?
“Sì e no. Nel senso che di per sé l’approccio contro le squadre forti non cambia, ma contro attaccanti di categoria superiore trovi già di default motivazioni in più. Paradossalmente è più difficile gestire il cosiddetto “tiro facile”: se sei troppo sicuro di parare una conclusione, inizi già a pensare a cosa farai una volta che avrai il pallone tra le mani, ed è in quella frazione di secondo che fai la papera. Purtroppo io ci sono arrivato da allenatore, non da giocatore (ride, ndr)”.

A tal proposito: meglio giocare o allenare?
“Emozioni totalmente diverse. Allenare è bellissimo e vedere i miglioramenti, in questo caso di Alessia e Alice, mi riempie il cuore di gioia: il merito, comunque, è solo degli atleti perché io mi limito a far fare loro le esercitazioni e a dare qualche consiglio. Da giocatore, però, hai tutt’altra adrenalina e ammetto che un po’ mi manca quella sensazione”.

Essere al Varese, invece, che sensazione è?
“È una bellissima soddisfazione per uno come me che è da sempre stato un tifoso sfegatato: l’anno scorso quando sono entrato in campo all’Ossola è stata un’emozione incredibile. Poi è bello far parte di quella che è la rinascita biancorossa: la società sta lavorando bene e ha tante idee per portare il Varese ancor più in alto. Sono orgoglioso, nel mio piccolo, di farne parte”.

Matteo Carraro

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