Un legame forte, quello tra Simone Roncalli e Jannik Sinner. Il bustocco classe ’96 e il campione altoatesino hanno condiviso tanti bei momenti durante il loro periodo al Piatti Tennis Center di Bordighera, dove Jannik ha levigato tutti gli spigoli del suo tennis per affacciarsi definitivamente al mondo dei professionisti della racchetta. Dalle chiacchierate a tavola, sempre con il focus verso i campi, ad arrivare al primo torneo di doppio nel circuito professionistico, giocato dalla “volpe di Sesto Pusteria” al fianco proprio dell’ex numero 536 ATP. Tante avventure, viaggi ed esperienze spese l’uno vicino all’altro. Il fato ha riservato loro destini diversi, con Roncalli che ha da poco abbandonato le competizioni internazionali assecondando la vocazione per l’insegnamento (al TC Milano, ndr), ma la stima reciproca e l’amicizia rimangono fattori comuni di un rapporto nato negli anni in cui Sinner ha veramente fatto quello step in più per diventare uno dei migliori tennisti al mondo.
Abbiamo quindi raggiunto Roncalli e ci siamo fatti raccontare alcuni aneddoti su un uomo e un professionista destinato a riscrivere la storia del tennis italiano e mondiale.

Innanzitutto Simone, com’è nato il rapporto tra te e Jannik Sinner?
“Ho un ricordo abbastanza vivido di quei momenti. Era il 2015 e Jannik aveva appena terminato le scuole medie in Alto Adige. Durante l’ITF di Busto Arsizio scese ad allenarsi con Andrea Volpini e io li ospitai a casa mia. Era già in orbita “Piatti” (Riccardo, suo storico coach, ndr), ma probabilmente in quelle settimane capii veramente che era la figura che faceva per lui. Era un ragazzo timido, umile, tranquillo, nonostante giocasse già un gran tennis per avere solamente 14 anni. Colpiva la pallina con grande facilità e pulizia, ma si vedeva che era ancora grezzo. Piatti ne ha definitivamente levigato gli spigoli e ogni anno è cresciuto sempre più vertiginosamente”.

Da quel momento poi avete vissuto insieme a Bordighera e spesso avete viaggiato insieme per vari tornei…
“Esatto. A Bordighera eravamo coinquilini. Io avevo appena finito il liceo e mi ero buttato a capofitto nel tennis per iniziare la mia carriera internazionale, lui stava intraprendendo un percorso simile anche se aveva cinque anni meno di me. Si capiva già che aveva la stoffa del campione e infatti, dopo poco tempo cominciò a giocare i tornei del circuito Pro, partendo dalle qualificazioni degli ITF. Anche lui ha fatto la gavetta, solo che l’ha fatta da adolescente e ha bruciato le tappe (ride, ndr). Mi ricordo benissimo che in un torneo in Croazia ci diedero Wild Card in doppio. Per lui era il primo torneo da professionista in doppio e, a ripensare che lo abbia disputato con me, chiedendomi consigli e cercando le giuste sensazioni, mi fa venire i brividi. Da lì ha cominciato a viaggiare sempre di più con me e Gian Marco Moroni, ovviamente per giocare tornei e mettere partite nelle gambe”.

Immagino che aveste capito subito di che tipo di talento si trattasse…
“Sinceramente sì, era difficile non intravedere qualcosa di diverso in lui. Va anche detto che, onestamente, da quei primi lampi di grande tennis non mi sarei mai aspettato di vederlo vincere uno Slam così giovane. Sono contentissimo che ci sia riuscito e spero vivamente che sia il primo di tanti, perché se lo merita come tennista ma soprattutto come persona. Era anche incredibile dal punto di vista fisico: è sempre sembrato gracile, ma il suo punto forte è stato quello di crescere in altezza senza mai perdere coordinazione. La differenza la fa nella facilità con cui impatta la pallina. Inoltre, ripensandoci, il tratto che mi ha sempre colpito di lui è la mentalità da top player, lo si vedeva anche nelle piccole cose che con il passare del tempo riesci sempre più ad apprezzare”.

Riesci a farci degli esempi?
“Certamente. Come ho detto prima Jannik ha fatto un periodo in cui alternava tornei Juniores a quelli Pro del circuito ITF. È successo che durante una trasferta in Serbia non riuscii a entrare neanche nel tabellone di qualificazione. Un ragazzo senza il suo spirito avrebbe approfittato di quella settimana per allenarsi un po’ e fare vacanza, lui, invece, si iscrisse ad un Open in Serbia pur di giocare partite e accumulare esperienza. Una cosa totalmente anticonvenzionale! Un’altra cosa che mi ha sempre fatto piacere era la sua partecipazione ai nostri match: spesso gli capitava di venire a vedere me e Gian Marco (Moroni, ndr) e sfruttare quei momenti per assimilare altri concetti e, ovviamente, tifare per noi (ride, ndr). Rimane comunque il fatto che ogni torneo metteva un mattoncino per costruire il suo gioco e il suo futuro, anche se all’inizio non aveva raccolto chissà che risultati strabilianti. Ma lui non si scoraggiava e lavorava ancor di più e ancor meglio”.

Guardando meramente i numeri e i risultati, niente di sconvolgente, appunto. Quando, secondo te, ha fatto quel passo deciso in avanti verso l’Olimpo del tennis mondiale?
“Secondo me il momento decisivo che gli ha permesso di fare un salto pazzesco in avanti è stata la vittoria del Challenger di Bergamo nel febbraio 2019. Il suo primo punto ATP lo prese a Sharm El Sheik un anno prima, e io ero lì con lui. Parlando a tavola, poi, un mese prima che vincesse Bergamo dichiarava già il suo obiettivo nel vincere un torneo di quel tipo. Io nella mia testa sapevo che aveva le possibilità e il talento per farcela, ma ero anche consapevole che comunque negli ITF non stesse facendo chissà quali exploit ed era poco dentro nei primi 600 giocatori del mondo. Ma, puntualmente, mi smentii subito. Trionfò a Bergamo senza grosse difficoltà e in finale vinse 6-3 6-1 con Roberto Marcora che, in quel periodo, stava giocando benissimo. Da lì la carriera di Sinner prese definitivamente il largo”.

Arriviamo agli ultimi mesi con la vittoria contro Djokovic alla finals, il trionfo in Coppa Davis e poi l’apoteosi agli Australian Open. Com’è stato vederlo vincere? Vi siete sentiti?
“È stato incredibile, prima di tutto perché sono italiano e amo il tennis alla follia, e poi proprio per aver visto compiere imprese simili ad un ragazzo con cui sono cresciuto. Dopo le ATP Finals, dove ha battuto Djokovic nei gironi per poi perderci in finale, gli ho scritto per dimostrargli vicinanza e per fargli capire, qualora ce ne fosse bisogno, che stava davvero raggiungendo ciò che aveva sempre sognato. Chissà che, in piccolissima parte, quel messaggio non lo abbia aiutato nel recuperare subito le energie mentali per guidarci al successo in Coppa Davis! Dopodichè, giusto per ribadire la sua forza, ci ha regalato quel trionfo agli Australian Open (il primo italiano della storia a vincere oltreoceano, ndr). La sua semplicità e la sua umiltà sta proprio nel rimanere il ragazzo di sempre e quando gli ho scritto per complimentarmi con lui per l’incredibile vittoria mi ha risposto dopo pochi minuti, nonostante tutte le cose che gli stavano succedendo intorno”.

Per tornare a te e per concludere la nostra chiacchierata, adesso insegni agli agonisti di un circolo importante come il TC Milano. Ti porti dietro un po’ di Sinner nel tuo “nuovo” lavoro?
“È una domanda che mi sono fatto anche io e mi sono risposto di sì. Non portare come esempio una persona e un atleta del genere sarebbe da stupidi. Ho avuto il piacere di conoscerlo da vicino, di allenarmici, di insegnargli anche qualcosa, come il tifo per il Milan (ride, ndr) e la cosa più giusta che si possa fare è far passare l’eccezionalità della sua figura ai miei allievi. Un giovane aspirante tennista non può non vedere Jannik come un punto di riferimento come atleta, il mio ruolo è quello di far capire anche che non è stato solamente il talento a portarlo là in alto, ma soprattutto la dedizione al lavoro. Io sono dell’idea che i sacrifici, in qualche modo, ripagano sempre, e lui ne è la riprova schiacciante”.

Filippo Salmini

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