Non è raro sentire presidenti e allenatori dire che in uno spogliatoio la fascia è solo un simbolo, perché ci sono più capitani pronti ad assumersi le proprie responsabilità, essere d’esempio per i più giovani e trascinare i compagni nei momenti di difficoltà. Verissimo, ma se quella fascia esiste un motivo c’è e in casa Varesina è giusto che ad indossarla sia Marco Gasparri, uno che in fondo in fondo capitano lo è sempre stato (anche senza fascia).

La Varesina, tuttavia, risponde a pieno titolo alla descrizione di “spogliatoio con più capitani” e la squadra si è fatta valere anche senza l’attaccante classe ’88 in campo. Gasparri, infatti, ha dovuto finire di scontare le severissime quattro giornate di squalifica prese dopo l’espulsione della semifinale playoff di Piacenza e solo la scorsa domenica è tornato a sudare insieme ai compagni in occasione della vittoria per 3-1 sul campo del Sangiuliano. Risultando, come sempre, imprescindibile. “È stato bello tornare in campo perché, per quanto i ragazzi abbiano sempre disputato grandissime partite, vederle da fuori è un’agonia. Così com’è stata un’agonia tutta l’estate perché continuavo a pensare a quella squalifica e mentalmente non è stato facile approcciarsi alla preparazione sapendo di dover stare fermo quasi tre settimane. Domenica, quindi, me la sono proprio goduta, oltretutto perché abbiamo vinto”.

Subito decisivo con una grande prestazione coronata dall’aver propiziato l’autogol del momentaneo 3-0. A quando il gol?
“Se non fosse stato per Libertazzi… Va bene che Davide è un grande portiere, abbiamo giocato insieme a Borgosesia, ma come gli ho detto a fine partita ha parato solo a me (ride, ndr). Scherzi a parte, oltre a rinnovare i complimenti a Davide e al Sangiuliano, una gran bella squadra, è stato importante vincere per dar seguito ai risultati positivi che stiamo raccogliendo. È bello esser lì davanti”.

Qual è il valore di questa Varesina?
“Sicuramente alto, perché rispetto all’anno scorso sono arrivati giocatori più esperti soprattutto in difesa. Penso a Mapelli e Caverzasi, reduci dalla Serie C con già tanta esperienza in categoria, ma anche a chi è rimasto, come Cosentino e Coghetto che già conoscevano la metodologia di lavoro del mister; in porta, poi, uno come Chironi ti dà qualcosa in più. La stagione scorsa la difesa è stato un po’ un nostro punto debole e quest’anno ci siamo rinforzati tanto: non a caso i tre gol presi sono arrivati tutti su rigore. Poi la squadra nel complesso è ben organizzata e non mana di talento in ogni reparto. I giovani forti? Il direttore Micheli, anche negli anni passati con Scandola, ha sempre trovato ragazzi davvero in gamba pescando da settori giovanili di livello. Tutti i nostri under sanno fare bene il proprio lavoro e i risultati si vedono.

Prima hai parlato giustamente della difesa, ma anche l’attacco è cambiato parecchio. Nonostante ciò, la sensazione è che vi possiate divertire ancora parecchio…
“Direi di sì, anche perché ciò che conta è sempre la propositività della squadra. Il mister vuole che siamo noi a gestire la partita e così facendo le occasioni per segnare arriveranno sempre. Certo, sarà difficile ripetere i numeri dell’anno scorso, ma secondo me siamo sulla giusta strada: iniziamo a prenderne meno, poi i gol fatti arriveranno. Il sistema di gioco? Siamo una squadra eclettica, ci adattiamo anche in base a come lavorano gli avversari e questa è una nostra grande forza che ci rende imprevedibili. Per noi dell’attacco cambia relativamente: il mister ci lascia liberi di trovare la nostra posizione e ci muoviamo molto a istinto”.

È la tua terza stagione a Venegono: come è cresciuta la Varesina in questi anni?
“La Varesina è una società seria e professionistica, non ancora formalmente ma lo sarà presto, che cresce ogni anno a livello di strutture e di professionalità; il Centro Sportivo di Cairate per noi e per la Juniores ne è un esempio. La crescita costante è dettata dalle persone che ci sono dentro, a cominciare dalla famiglia Di Caro, che riescono sempre a realizzare progetti importanti senza mai fare il passo più lungo della gamba. Ogni anno mettono un mattoncino per inseguire il sogno chiamato professionismo”.

Il progetto della società è chiaro: conquistare la Serie C in tre anni. È possibile bruciare le tappe?
“Assolutamente sì, anche se non è mai facile vincere un campionato perché ci sono squadre che spendono tantissimo comprando giocatori fuori categoria. Io credo però che con il lavoro quotidiano potremo giocarcela: ricollegandomi anche alla domanda precedente, ogni anno miglioriamo rispetto alla stagione precedente e, se non sarà quest’anno, arriveremo a giocarcela fino alla fine. Ripeto che vincere non è mai facile, ma le basi ci sono”.

Ormai il Girone B lo conoscete bene, che idea ti sei fatto?
“Ogni domenica è un terno al lotto. Proprio perché ormai ci siamo fatti le ossa in questo girone, sappiamo bene che ogni partita ha una storia a sé: il campionato è molto equilibrato e ci sono tante squadre attrezzate per i rispettivi obiettivi che riescono a metterti in difficoltà. Questo discorso vale sia se giochi contro la prima sia se giochi contro l’ultima”.

Il Fanfulla può essere la classica partita-trappola?
“Stiamo studiando come sempre i nostri avversari per arrivare preparati al fischio d’inizio. Ogni partita può essere una trappola se non entri concentrato, e proprio per questo dico che dipenderà sempre da noi: se pareggeremo la corsa e la voglia degli avversari, le nostre doti tecniche verranno fuori. E da questo punto di vista non abbiamo nulla da inviare a nessuno”.

Non posso chiudere senza farti una domanda: da milanista, com’è stato tornare a vincere un derby?
“Stupendo! (ride, ndr) Era una sensazione che non provavo da troppo tempo! Ma la stagione è lunga…”

Matteo Carraro
Foto d’archivio

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