
“Ciao Vito, che fai da queste parti?”.
“Ogni tanto il caffè te lo offro…”.
È così che Vito Romaniello si è presentato una mattina, di un giorno come tanti, al Bar La Chicchera di Masnago (davanti alla nostra Redazione) per una classica colazione fra amici che, tra una battuta e l’altra, ha presto assunto i connotati di un meeting. Il tema? Ovviamente il nostro Varese Football Club. La parola “nostro” non fa ovviamente riferimento a una proprietà tangibile, ma è intrinsecamente legata a tutti quegli aspetti empatici legati ai biancorossi che, nel concreto, ci hanno permesso di conoscerci.
Dopo il suo risveglio dal coma e la successiva riabilitazione sono stato tra le prime persone con cui Vito ha interagito (fortuna o sfortuna? Chi lo sa…) e questo è stato possibile proprio grazie all’allora Città di Varese. Tra restrizioni e zone di diverso colore dell’era Covid, la certezza era la presenza della nostra macchinata per seguire i biancorossi in trasferta. Occasioni di incontro e (soprattutto) confronto che si ripetono puntualmente oggi. E che trasformano una mattina come tante in una miniera di spunti di riflessione.

“Allora – esordisce Vito –, che mi dici del nostro Varese? Ho avuto modo di vederlo solo nel primo giorno di raduno e a Renate”.
M: “A me questa squadra piace, ma credo sia ovvio che manchi qualcosina a livello di organico. Se dovessimo fare un distinguo tra potenziali titolari e riserve vedo un gap che va colmato”.
V: “Sei ottimista?”.
M: “Direi di sì, con moderazione”.
V: “Lo eri anche l’anno scorso”.
M: “L’anno scorso sono stati fatti tanti errori, ma continuo a non avere dubbi sul valore di quella rosa: per me, sulla carta, era la più forte del girone”.
V: “Sono d’accordo. Floris ha avuto la rosa più forte, ma la squadra più forte ce l’ha avuta Cotta. Ogni estate voglio esserci al raduno per capire l’aria che tira: le sensazioni positive c’erano anche l’anno scorso, ma questa volta ho percepito più determinazione. Ho visto gente che vuole dimostrare di essere da Varese e non che è qui solo perché pensa che basti indossare la maglia biancorossa per vincere”.
M: “Quindi anche tu sei ottimista”.
V: “Ho visto una grande coerenza progettuale da parte della società che, al netto di tutto, mi fa ben sperare. Il calcio è semplice ed è fatto da tre figure fondamentali: un presidente o una società forte, un direttore sportivo che deve fungere da talent scout, e quindi costruire la squadra che costi il meno possibile e valga il massimo sul campo, e un allenatore che faccia performare al meglio i giocatori. Forse andrò controcorrente, ma mi è piaciuta la scelta di riproporre un’accoppiata. Floris e Montanaro sono andati discretamente bene fino a febbraio, poi è evidente che qualcosa non abbia funzionato e la mancanza di un rapporto solido tra allenatore e squadra ha portato al patatrac. A fine febbraio tutto era ancora possibile: una squadra vera si sarebbe compattata con il proprio comandante, e invece il Varese dall’essere una corazzata si è trasformato in un’armata Brancaleone. La società ha comunque visto aspetti positivi e, giustamente, ha voluto investire su un ds e un allenatore che avevano già lavorato assieme: solo perché non è stato fatto il passo giusto non vuol dire che la strada sia sbagliata”.
Squilla il telefono, Vito risponde e si allontana. Nel frattempo, ai tavolini del bar parte l’immancabile digressione sul prossimo e imminente Fantacalcio. Tra una considerazione e l’altra, ad un certo punto un cliente sorseggiando il suo cappuccino dice: “Puntate sui giocatori della Juve: secondo me possiamo tornare a dire la nostra in chiave Scudetto. Siamo partiti a fari spenti, ma abbiamo un’ottima squadra: quasi quasi quest’anno torno allo stadio”.
Una semplice frase decontestualizzata dal mondo Varese mi riporta subito a pensare ai biancorossi. Sia per l’uso del “noi” (emerge ancora il senso di comunità) sia per il “low profile” che mi ricorda l’operato della dirigenza bosina di quest’anno, ma anche e soprattutto per la questione stadio. L’Ossola è in condizioni pietose e, se non sporadicamente da bambino, non ho mai avuto la fortuna di viverlo come si deve. Quanto sarebbe bello ritrovarlo, in veste moderna, pieno di gente con un Varese di nuovo tra i professionisti?

Ed ecco che il ritorno di Vito al tavolino è propedeutico per aprire un altro capitolo: “Vito, ma tu sai qualcosa dell’Ossola?”.
V: “E lo chiedi a me? Dovresti essere tu a dirmelo”.
M: “Sì, ma tu sei lo speaker degli stadi, la voce degli stadi, la voce del made in Italy: solo tu puoi dare certe risposte”.
V: “Quando fai così non capisco se lo pensi davvero o se mi prendi per il c***”.
M: “Entrambe le cose. Scherzi a parte, conosco i tempi biblici della burocrazia, ma la mia domanda non era legata al discorso progettuale, bensì a quanto sarebbe effettivamente importante avere un impianto nuovo e moderno qui a Varese”.
V: “E va bene. Ti posso dire che, al pari delle trasferte, gli stadi rappresentano l’essenza del calcio: parliamo di conoscenze, di viaggi da condividere e di tante altre belle cose che ho provato a racchiudere nel mio Fattore Campo. Tra l’altro a ottobre si chiuderà l’Expo di Osaka e per festeggiare i dieci anni di Italia Foodball Club, lanciato all’Expo di Milano, ho intenzione di portare avanti un’inchiesta sugli stadi che ci condurrà ai 90 anni dell’Ossola il prossimo 8 dicembre. Mi auguro che, a maggior ragione andando verso Natale, arrivino regali che possano scaldare il cuore dei tifosi. Ovvero notizie certe”.
M: “Non hai risposto”.
V: “Fammici arrivare! Lo stadio per una società è business, per un tifoso è casa, per una squadra è teatro e per un’Amministrazione Comunale deve essere un biglietto da visita. Indipendentemente da qualsiasi discorso, è importante che tutte le parti in causa capiscano le necessità di investire su una struttura attorno alla quale sviluppare attività collegate come ristorazione, merchandising, accoglienza, musei e tanto altro. L’Ossola è un gigante in decomposizione e usarlo due o tre volte al mese non è un bene. La Casa del Varese andrebbe gestita a dovere, creando un circolo virtuso che possa avvicinare le famiglie e coinvolgere quanta più gente possibile. Torno al tema della condivisione. Ogni mio progetto editoriale è legato a tre parole: orgoglio, appartenenza e identità, che sono gli slogan propri di qualsiasi Curva che si rispetti. Sono elementi che ci fanno stare insieme, non solo durante la partita, ma anche prima e dopo”.
M: “Tutto bello e condivisibile, ma il progetto è impantanato”.
V: “Il problema degli stadi italiani è che gli impianti sono pubblici: solo Juventus, Atalanta, Udinese, Sassuolo, Cremonese, Frosinone e AlbinoLeffe ce l’hanno di proprietà. Bisognerebbe aspettare novità a livello nazionale, e il Ministro Abodi ben conosce la realtà, ma l’ultimo grande investimento sugli stadi risale ai Mondiali del ’90; forse in vista dei prossimi Europei del 2032 si potrà smuovere qualcosa”.

M: “Però, ti riporto il pensiero di qualche tifoso, ciò significa che senza stadio il Varese resterà sempre in Serie D?”.
V: “Lo stadio deve essere centrale, ma non determinante negli obiettivi della società. Indipendentemente dai risultati, l’Amministrazione Comunale deve ricordarsi cosa è successo quando è stato inaugurato il nuovo Palaghiaccio: Varese è la città dello sport e una città del genere deve avere sia uno stadio degno che altri luoghi dello sport in cui consolidare il senso di comunità. Mi viene tristezza pensare ad un Franco Ossola messo a norma stagione dopo stagione con una pezza qua e una là . Ricordo quando i “Brutti e Buoni” venivano offerti alle squadre avversarie a metà campo prima delle partite: l’Ossola era football e foodball, un vero e proprio ambasciatore del territorio. E i tifosi erano davvero il 12esimo uomo in campo. Ad oggi sfido chiunque ad essere invogliato ad andare all’Ossola, eppure non manca gente che continua a rispondere presente per sostenere la squadra. A volte sono i risultati negativi che rafforzano certi legami e credo che le amministrazioni debbano imparare dai tifosi cosa vuol dire la vera passione sportiva. Qui a Varese si respira sofferenza, ma la quaresima è ormai passata da un pezzo…”.
M: “Prima ancora che lo stadio, come si costruisce la credibilità?”
V: “Il problema è che le leggi sono tutt’altro che chiare e veloci. Bisognerebbe alleggerire le Istituzioni pubbliche da pesanti responsabilità, lasciando quest’ultime ai soggetti che vogliono costruire lo stadio, per farle concentrare sul controllo; mi auguro che ciò avvenga dopo le Olimpiadi di Milano-Cortina, il più grande appuntamento sportivo che riguarderà il nostro Paese. Per questo motivo il Comune è così prudente: su ogni progetto di questo tipo bisogna andare con i piedi di piombo, ma ora si sta davvero aspettando troppo. Certo il rischio finanziario è significativo e bisogna valutare attentamente sia il ritorno sull’investimento sia la sostenibilità economica a lungo termine. Tornando a Varese, dato che lo stadio esiste già e al suo fianco c’è il Palazzetto, non credo che il progetto vada a impattare su tranquillità e viabilità; anzi, penso che agli abitanti della zona possa solo far piacere una struttura del genere. Semmai, bisognerebbe interrogarsi su eventuali ritardi o sforamento del budget”.
M: “Beh, di questo se ne devono occupare i diretti interessati. Noi qui seduti al bar vediamo ovviamente più che altro gli aspetti positivi: si andrebbero a creare nuovi posti di lavoro, la riqualificazione dello stadio porterebbe una rigenerazione urbana a Masnago e, soprattutto, l’evento sportivo tornerebbe ad attirare tifosi aumentando le domande di alloggi, ristorazioni e trasporti”.
V: “Bravo, vedo che qualcosina stai imparando da me”.

M: “Vito, è tardi. Voglio però chiederti un’ultima cosa. Visto che per realizzare il tuo nuovo progetto Fattore Campo (del quale abbiamo già parlato e parleremo fra qualche mese) stai girando gli stadi di tutta Italia, hai qualche spunto per il nuovo progetto che potrebbe riguardare Varese?
V: “Non dimentichiamoci che a una squadra e a uno stadio viene naturalmente associata l’immagine della città che i social media amplificano. Se gestito bene l’impianto può diventare elemento di marketing territoriale in grado di attirare investitori e nuovi residenti e quindi rappresentare un vero e proprio motore di sviluppo per il territorio. Nel 2010 ho pubblicato il libro sul Centenario biancorosso e con il tuo direttore Michele Marocco abbiamo organizzato diversi appuntamenti che potrebbero essere utili nel pensare come promuovere il nuovo impianto. Un tour dello stadio permette l’accesso ad aree solitamente inaccessibili, come spogliatoi, sala stampa, tunnel d’ingresso e campo da gioco. Spesso è abbinato un museo interattivo che racconta la storia del club e della città. Senza dimenticare che la sua natura polifunzionale trasforma lo stadio in location per concerti ed eventi”.
M: “Si farà?”.
V: “Voglio sperare di sì”.
M: “Il Varese vincerà il campionato?”.
V: “Dipende… dal Fattore Campo, ma anche dalla capacità di Ciceri e Battaglino di costruire una squadra ancor prima che una rosa. Ripeto di aver fiducia nella società e l’augurio è che il nostro Varese torni dove merita di stare. Però adesso è davvero tardi e devo scappare”.
Vito si alza, paga, saluta e se ne va. Io resto seduto ancora un attimo, poi mi alzo a mia volta. Il caffè me l’ha offerto davvero e, mentre mi dirigo in Redazione, penso: “Quasi quasi adesso scrivo quello che ci siamo detti…”.
Matteo Carraro