Il calcio moderno si ritrova ad affrontare una crisi senza precedenti, ovvero l’epidemia di infortuni che sta colpendo i club di tutto il mondo. Si è arrivati ad un punto dove non è più possibile ignorare i segnali di allarme, nel momento in cui giocatori del calibro di Rodri, stella del Manchester City e pallone d’oro, lanciano pubblicamente l’idea di uno sciopero. “Non siamo dei robot”, ha dichiarato il centrocampista spagnolo, poco prima di procurarsi un brutto infortunio al ginocchio nella sfida contro il Liverpool.
La situazione è allarmante su tanti fronti, il Barcellona sta facendo a meno di Ter Stegen, mentre il Paris Saint-Germain si ritrova ad affrontare numerose assenze tra cui Hernandez e Kimpembe, così come tante altre squadre devono fare i conti con la moltitudine di problemi fisici. Ma il dato più preoccupante emerge dalle statistiche, infatti, l’80% degli infortuni avviene senza un contrasto diretto, portando a pensare che ci sia un problema strutturale nel modo in cui il gioco del calcio si sta evolvendo. 

Il problema calendario

Il calendario è ormai insostenibile, si giocano partite quasi quotidianamente, con campionati nazionali spalmati dal venerdì al lunedì e le coppe europee che vanno a riempire i giorni della settimana rimanenti. La Champions League si è da poco allargata a 36 squadre, il Mondiale presenta 48 squadre nazionali partecipanti, e persino le supercoppe nazionali vengono giocate ormai nei paesi arabi per ragioni commerciali, costringendo le squadre ad affrontare viaggi logoranti che intaccano l’integrità psicofisica dei giocatori.
In Serie A un esempio emblematico di questa situazione è la Juventus, che sta pagando un prezzo alto in termini di infortuni. E’ praticamente con cadenza settimanale che l’infermeria della Vecchia Signora accoglie nuovi pazienti, in un ciclo che non sembra avere fine. Ormai non si può parlare solo di sfortuna o cattiva preparazione, ma di un sistema che spinge gli atleti oltre i loro limiti fisiologici.
Anche Carlo Ancelotti ha sottolineato che si gioca troppo, e questo porta inevitabilmente ad un calo della qualità dello spettacolo che il calcio ci offre. Il problema, infatti, riguarda in prima persona i giocatori ma a risentirne sono anche i tifosi. I più appassionati che vanno allo stadio lamentano di prestazioni poco soddisfacenti, chi ha la passione per le scommesse si ritrova davanti a palinsesti infiniti difficili da seguire, con le schedine pronte di oggi proposte dagli operatori del settore sempre più ricche e articolate, per non parlare poi dei fantallenatori che devono gestire rose piene di assenze aumentando a dismisura la difficoltà del gioco.

La soluzione?

La soluzione, però, sembrerebbe semplice: ridurre il numero di partite. Tuttavia, come ha evidenziato Ceferin, il presidente UEFA, giocare meno significherebbe stipendi inferiori. Un circolo vizioso in cui ormai si ritrovano tutti coinvolti, i club che necessitano di entrate per pagare stipendi fuori dal normale, calciatori che non vogliono rinunciare ai compensi, e un sistema mediatico che alimenta una domanda costante di contenuti.
Ma è giunto il tempo che tutte le parti coinvolte trovino un equilibrio sostenibile, prima che il gioco più bello del mondo diventi vittima del suo stesso successo.

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