Regole, principi, capisaldi. Punti di partenza e di arrivo di un processo di crescita che nasce e muore nella stessa essenza di sé stesso, basandosi su concetti chiari, precisi, diretti tanto da saper definire l’identità di un gruppo, tanto dal saper riempire buchi e mancanze che sembrano incolmabili, tanto da lasciare un vuoto enorme nel momento in cui non vengono assimilate, seguite e comprese.

Kastritis le chiama le Varese’s Rules, ossia le regole di questa squadra, che, come dicevamo, ne identificano la sua identità: spirito di sacrificio e difesa. Due concetti a cui se ne collegano molti altri, come quello di collettivo, che oggi, come lo stesso coach greco ha voluto sottolineare ai microfoni post sconfitta per 61-94 contro Milano, mancano terribilmente ad una squadra che su di esse deve costruire il proprio essere, senza alcun tipo di deroga possibile.

A due mesi dall’inizio dei lavori, però, queste regole sono lontane dalla loro concreta applicazione, per un gruppo che manda solo segnali sporadici (vedasi i tanti sali e scendi della gara con Sassari) ma che è ancora troppo caratterizzata da una mancanza di struttura caratteriale ancor prima che tecnico-tattica, da non sottovalutare. A maggiora ragione, questo, se il segnale d’allarme arriva dall’interno, a maggior ragione se il segnale d’allarme arriva da chi sa come tirare fuori la sua Varese partendo da queste regole, a maggior ragione se ci si rende conto, partita dopo partita, che il rischio dell’aver realizzato un ennesimo mercato monco è reale in quei ruoli che non si possono sbagliare.

Perché se l’asse portante in campo di una squadra si costruisce sul rapporto play-pivot, tanti dei problemi di questa Pallacanestro Varese si possono leggere nella mancanza proprio di questi due interpreti: una giustificata ed una no. Moody e Renfro, al momento, più che l’asse portante sono lo sbilanciamento che non permette a questa squadra di trovare il suo vero equilibrio, perché uno confinato ai box da un infortunio che sconfina il fisico e tocca anche lo psicologico ed un altro che invece appare un corpo estraneo a quella squadra di cui dovrebbe essere guida in campo e leader nello spogliatoio.

Una contingenza che azzoppa in maniera incredibile una squadra ferma allo stesso punto da ormai due mesi ma che non può essere giustificazione dell’assenza di una risposta caratteriale ad una difficoltà oggettiva del momento, che n’è concausa e che si inserisce in un contesto di collettivo più ampio, che è chiamato ad una risposta a quelle stesse regole da febbraio scorso sono state la vera direttrice di una filosofia di lavoro e di gioco che ha riportato quel senso di appartenenza che era venuto completamente a mancare e che oggi si ritrova smarrito nell’attesa che le regole vengano applicate nella giusta maniera, per risolvere un’operazione che al momento continua ad essere un rebus.

Alessandro Burin

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