Era il 10 febbraio quando Herman Mandole ha rassegnato le proprie dimissioni dal ruolo di capo allenatore della Pallacanestro Varese. Da quel momento tanto si è scritto e detto e tanto è accaduto ma nessuna parola è mai uscita dalla bocca del coach argentino fino ad oggi quando, direttamente dalla sua Buenos Aires, Mandole ci racconta come sono andate effettivamente le cose nella sua avventura in biancorosso.

Mandole, partiamo intanto dalla sua ultima esperienza a Manchester chiusa con 11 vittorie su 17 partite disputate. Che cosa si porta dietro da questa avventura?
“Sono stato molto contento di aver vissuto quel tipo di esperienza. Abbiamo fatto un ottimo lavoro perché la squadra quando sono arrivato era ottava con soli due punti di vantaggio dalla nona e alla fine siamo arrivati quarti, il miglior piazzamento della società negli ultimi 25 anni. Abbiamo fatto i playoff ed all’ultima gara il palazzetto era sold-out, qualcosa di non comune a Manchester per il basket visto che lì il calcio è tutto. Sono felice di aver aiutato la squadra a costruire qualcosa di importante”.

Che tipo di pallacanestro ha trovato in Inghilterra?
“E’ un movimento in crescita. Ci sono tante cose che assomigliano al basket americano ed è un campionato sicuramente in sviluppo. Londra, Manchester, Newcastle sono squadre che possono fare bene anche in Europa., non a caso Londra ha fatto l’anno scorso la finale di Eurocup, Newcastle ha raggiunto la finale di una competizione del Nord Europa e Manchester l’anno prossimo farà la BCL. E’ una lega in crescita, non è tra le migliori ma nemmeno tra le peggiori d’Europa. Penso che nei prossimi anni tantissimi giocatori e allenatori vorranno provare un’esperienza lì”.

Dall’ultima esperienza di quest’anno alla prima: il 10 febbraio lei ha deciso di dare le dimissioni dal ruolo di capo allenatore della Pallacanestro Varese. Perché ha preso quella scelta?
“Perché in quel momento ho ritenuto fosse la migliore per lo sviluppo del progetto di Varese, di cui sono stato parte fin dal principio tre anni fa e di cui sono innamorato. Quest’anno il campionato è stato di altissimo livello, uno dei più competitivi degli ultimi 20 anni e i risultati lo dimostrano: Scafati e Pistoia sono retrocesse facendo pochissimi punti, vuol dire che le altre erano davvero forti. La gente era arrabbiata con la società, con me, con alcuni giocatori come Hands ed altri e nonostante pensassi che con solo 3 partite avremmo trovato la salvezza, ovvero vincendo in casa con Scafati, Cremona e Sassari, ero altrettanto consapevole che per il clima che si era creato non avremmo mai vinto quelle tre gare. Il nostro principale obiettivo era la salvezza ma in quel contesto non avremmo mai potuto raggiungerlo. Quando sei innamorato di qualcosa devi fare di tutto per il suo bene ed in quel momento ho pensato che la cosa migliore da fare per il bene del progetto fosse andare via”.

Che cosa in particolare non ha funzionato secondo lei?
“La prima cosa che non ha funzionato è stata la comunicazione, non abbiamo comunicato bene. Poi abbiamo sbagliato qualcosa sicuramente sul mercato e nella gestione di altre situazioni che poi ricadono sul capo allenatore, in primis la questione Mannion. Noi abbiamo costruito la squadra su di lui ma praticamente non lo abbiamo mai avuto. Quando è andato via abbiamo puntato su giocatori che però si sono presentati fuori forma e non ci hanno dato quello che pensavamo potessero darci e questo sicuramente ha pesato. Avevamo pensato a Librizzi come cambio del play e invece ha dovuto caricarsi di tantissime responsabilità maggiori e che hanno pesato all’inizio”.

In qualche modo si è sentito tradito da qualche giocatore?
“No, tradito no. Come dicevo prima, si era creato un clima di negatività che non aiutava nessuno, in primis i giocatori che hanno sofferto questa situazione. Quando guardi le 19 partite che ho fatto da capo allenatore e le 11 che sono state fatte dopo, la percentuale di vittorie è stata simile, tenendo conto che fino a quando c’ero io in panchina avevamo avuto un calendario più difficile di quello che è arrivato dopo e nonostante tutto eravamo 12esimi in classifica. Non parlo di giocare bene o male, quello è soggettivo, ma parlo di percentuale di vittorie, che è la cosa più importante perché determina se tu retrocedi o vai ai playoff. Puoi giocare benissimo 30 partite ma retrocedere o al contrario giocare malissimo e andare ai playoff. Non mi sento tradito da nessuno, anzi, voglio ringraziare tutti i giocatori che ho allenato”.

Prima ha detto che avete comunicato male, in che senso?
“Non siamo stati bravi nel far capire quanto i risultati ottenuti fino alla mia decisione di andare via fossero assolutamente in linea con quella che poteva essere la nostra stagione, costruita con il quindicesimo budget della LBA. Un campionato, come dicevo prima, di altissimo livello con squadre che hanno vinto il 70% delle partite e sono finite quinte o seste o Tortona che ha chiuso con un rating positivo ma è rimasta fuori dai playoff. In questo contesto, le 12 partite solite che devi vincere per salvarti sono state molte meno. Se ne devi vincere 12 vinci il 40% delle gare. Questa situazione nuova, nella quale tu si salvi vincendo 8-9 partite ti porta a vincere 1 partita e poi magari a perderne 5-6 di fila ma è in linea con quella che è la realtà di Varese che, ripeto, è partita con il quindicesimo budget del campionato. Quando sono andato via eravamo dodicesimi quindi non stavamo andando male. Nel momento in cui abbiamo perso quelle 4 partite in fila dovevamo essere più bravi a normalizzare quel momento. Nel girone d’andata avevamo vinto il 40% delle partite battendo Milano e Virtus in casa e Sassari fuori ed io sono andato via dopo aver perso con Pistoia, Trento, Brescia e Milano fuori casa. Ecco i tifosi avevano ragione ad essere arrabbiati ma noi potevamo comunicare meglio nel far capire perché avevamo quel trend. Non sto dicendo che stessi facendo bene ma dal mio addio non è cambiato molto in termini di risultati puri tra vittorie e sconfitte”.

L’ha citata: la gara di Pistoia è stata una delle sliding doors della sua gestione. Che cos’è successo in quel maledetto secondo tempo?
“In quel momento pensavamo che la squadra avesse messo il pilota automatico e giocasse quasi da sola. Invece alcuni giocatori inesperti non sono riusciti a convivere con i difetti dei compagni. Quando sei parte di una squadra devi sapere che i compagni non sono perfetti ed in quel secondo tempo non abbiamo avuto la pazienza e la tranquillità di gestire gli errori commessi. A questo, aggiungo tutto il clima ambientale che si è creato tra proteste del loro coach, tifosi quasi in campo, ecco tutto questo ci ha affossato e ci ha portato poi alla sconfitta”.

Una cosa che non ha funzionato è stata sicuramente la difesa, inserita in una filosofia di basket come quella del Moreyball che porta i suoi dogmi e che abbiamo imparato a conoscere. Se potesse tornare indietro, sposerebbe ancora in pieno quella filosofia o cambierebbe qualcosa?
“La sposerei ancora in pieno al 100%. A Manchester ho fatto lo stesso gioco ed è andato tutto bene, penso che a Varese la squadra non abbia difeso bene in generale anche se in alcune partite abbiamo fatto bene anche dietro ad esempio con Milano, Virtus o nelle tre gare in fila vinte. Credo però che se potessi tornare indietro cambierei qualche regola ma non la filosofia di base, perché sono sicuro al 100% che è il tipo di basket che amo vedere giocare dalle mie squadre ma che soprattutto è quella che ti porta a vincere. Ciò che cambierei magari è il modo di portare in campo questa filosofia ma non toccherei mai le base di quel sistema”.

Com’è stato il suo addio con Scola?
“E’ stato un momento triste. Io e Luis abbiamo condiviso tanto in questi anni e tutt’ora ci sentiamo spesso. Quando decisi di dare le dimissioni cercò di persuadermi dal farlo. E’ una persona importantissima per me ma soprattutto ritengo sia fondamentale per Varese e per lui avrò sempre e solo buone parole”.

Cosa c’è nel suo futuro?
“Ho terminato la mia avventura a Manchester e ora sono in vacanza qui in Argentina con la mia famiglia. A luglio parteciperò alla Summer League con una franchigia che mi ha chiesto di allenare ma non posso ancora rivelare chi sia. Cercherò di vivere al meglio quell’esperienza, poi si vedrà cosa succederà”.

Vuole fare un saluto ai tifosi della Pallacanestro Varese?
“Assolutamente sì. Io li porto nel cuore e anche se le cose non sono andate bene posso assicurare che ho dato tutto me stesso per la causa biancorossa. Ripeto, il mio addio è stato un gesto d’amore perché pensavo in quel momento fosse il meglio per la squadra, la società, la città e la tifoseria. Li ringrazio per i mesi passati insieme e li porterò sempre nel mio cuore”.

Alessandro Burin

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