Si è conclusa un’ennesima stagione dura, complicata, per certi versi drammatica, sempre sportivamente parlando, della Pallacanestro Varese. Un’annata che, però, a differenza delle ultime, porte in dote una luce che è quella della continuità di un progetto tecnico che in pochi mesi è riuscito a ribaltare il mondo biancorosso, portandolo fuori dalle torbide acque del Moreyball che stavano mandando alla deriva questa squadra, indicandole una nuova via che sarà la direttrice della prossima stagione e che ne ha segnato la salvezza di questa.

E’ chiaro però che, dopo la sconfitta contro Venezia per 83-64 con cui Varese chiude il proprio campionato al dodicesimo posto (tra i migliori risultati degli ultimi anni del club, giusto per farsi un’idea del livello a cui i biancorossi sono ancorati ormai da qualche tempo), bisogna tracciare una linea dei tanti, troppi errori commessi in questa stagione.

Ed allora se è giusto dover valutare scelte e decisioni per le competenze con cui sono distribuite all’interno del club, non si può non analizzare la posizione dei due General Manager biancorossi: Zach Sogolow e Maksim Horowitz.

E’ ovvio partire subito con il dire che la strategy, di cui è direttamente responsabile Horowitz, sia stata completamente sbagliata ad inizio stagione ed a dirlo non siamo noi ma bensì i risultati, le evidenze incontrovertibili che danno il vero giudizio sul lavoro di un club sportivo. La scelta ancora una volta di affidarsi ad un sistema basato su statistiche e numeri, più che su uomini e caratteristiche degli stessi, pensando che il sistema sia più forte e superiore a tutto è stato ovviamente il primo grande problema di questa stagione (così come lo fu della scorsa). Un Moreyball estremizzato che stava portando alla deriva sportiva la Pallacanestro Varese, figlio di scelte e valutazioni in termini di costruzione della squadra assolutamente sbagliate e qui entra in gioco anche il GM Sogolow: l’affidare la panchina per il secondo anno consecutivo ad un esordiente come coach Mandole aveva tutti i suoi pro e contro, quest’ultimi evidenziatisi in maniera esponenziale tanto da portare all’esonero del coach argentino a metà stagione.

E poi le scelte di mercato, puntando su giocatori acerbi o poco affidabili tecnicamente e caratterialmente, con circa metà del budget occupato da un Nico Mannion completamente scollegato dal mondo biancorosso già dal ritiro estivo, vissuto tra il mal di schiena (fisico) ed il mal di pancia (psicologico) che ne ha portato l’addio dopo poche settimane dall’inizio del campionato, nonostante fosse stato insignito del ruolo di capitano (anche qui una scelta rivelatasi errata).

Ecco allora la seconda tranche d’interventi sul mercato, rivelatasi anch’essa fallimentare: dal ritorno di Nino Johnson, messo poi fuori roster a febbraio, alle scelte di Tyus (che comunque il suo contributo lo ha dato, sebbene forse poco a fronte di un compenso di circa 20.000 dollari al mese) a quella scellerata di affidare la squadra nelle mani di Keifer Sykes, fermo da 8 mesi dopo due anni di G-League in cui aveva completamente staccato mentalmente da un tipo di basket altamente competitivo come quello italiano, ancor di più in una realtà come quella biancorossa chiamata a dare l’anima per la salvezza. Scelte che hanno portato all’esaurimento dei visti stagionali per i giocatori stranieri a novembre, complicando ancor di più la mission salvezza, ponendo un vincolo per le operazioni future (la scelta di Bradford, positiva per qualche match, fu figlia di questo, quella di Mitrou-Long, decisamente imbeccata da Kastritis, anche).

In mezzo a tutti questi errori, tra i quali ci mettiamo quelli pesantissimi a livello di comunicazione come il parlare di obiettivo playoff dichiarato ad inizio anno; il parlare di squadra fortemente a trazione difensiva per tutta la prima parte di stagione pur subendo caterve di punti ad ogni partita ed il dire che nella seconda parte di campionato si sarebbero fatte più vittorie che sconfitte, c’è stata una luce, quella di cui parlavamo all’inizio che, come l’illuminazione di San Paolo sulla via di Damasco (senza voler essere blasfemi, sia chiaro ma solo per rendere bene l’idea), ha cambiato la visione e la via della Pallacanestro Varese.

Infatti solo gli stupidi non cambiano mai idea diceva un detto e i due dirigenti biancorossi hanno dimostrato di essere tutt’altro che tali, ammettendo i propri errori, facendo un passo indietro e trovando sul mercato l’allenatore giusto al momento giusto, per una scelta tanto pesante ed importante, quella di coach Kastritis esonerato poche settimane prima dall’Aris Salonicco, da sistemare, in parte, nel bilancio finale di stagione, tutti gli errori commessi prima.

Ed allora forse alla base della riconferma dei due dirigenti che ormai è sempre più probabile visto che i biancorossi si stanno già muovendo sul mercato giocatori e non, per costruire la nuova squadra, c’è proprio questa redenzione da un sistema e da un’idea che stava portando verso la rovina sportiva il club, abbracciando una nuova cultura del lavoro che in poche settimane ha ridato nuova fiducia per il presente ma soprattutto per il futuro, nella speranza di non compiere nuovamente tutti gli errori commessi in questa stagione che sono stati veramente troppi e che hanno rischiato di portare il club verso quel baratro sportivo che è l’A2 che solo la svolta sulla via di Salonicco ha saputo evitare.

Alessandro Burin

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