Il Varese doveva vincere il campionato e non l’ha vinto. Fallimento. Non c’è altro da dire: arrivederci alla prossima stagione, zero proclami e tanto lavoro per fare ciò che non è stato fatto quest’anno. Il pensiero comune della tifoseria biancorossa è assolutamente condivisibile, ma sarebbe troppo semplice limitarsi al giudizio superficiale “di pancia” senza considerare tanti altri fattori. Molti negativi, va detto, ma ce ne sono anche di positivi che, per quanto inevitabilmente oscurati dall’ultimo periodo, non possono essere ignorati.

Di certo è doveroso partire dall’attualità. Domenica il Varese farà visita al Gozzano con l’obbligo di vincere per entrare nei playoff, ma le premesse non sono poi così positive: se i piemontesi sono la squadra più in forma del girone, i biancorossi sembrano aver già staccato la spina e il futile impegno della post-season (che non porterebbe a un risultato concreto, eccezion fatta per la soddisfazione personale) non è appetibile. Alessandro Unghero sta lavorando soprattutto sulla mentalità di una squadra distrutta a livello psicologico, e le colpe non possono certo esser attribuite al tecnico della Juniores che ha raccolto i cocci delle ultime disastrose settimane dell’era Floris con 4 punti in sette partite. Unghero 4 punti li ha fatti in tre partite, ritrovando quella famosa media inglese di cui si parlava a inizio campionato quando il Varese vinceva in casa e pareggiava fuori. Quando ancora si respirava la fiducia per ciò che avrebbe dovuto essere e che non è stato.

Eppure, ripensandoci a mente lucida (sempre facile farlo), va riconosciuta una pesante oggettività: il Varese non ha mai impressionato a livello di gioco, con rare eccezioni. I primi 45’ di Voghera al debutto in campionato avevano un che di prodigioso (se il parziale all’intervallo fosse stato di 3/4-0 non ci sarebbe stato nulla da dire), ma quel 2-2 beffa era già forse indicatore di qualcosa che non funzionava e il Varese non è mai più riuscito (se non sporadicamente) a replicare quella prestazione. Poi il cuore, la grinta e l’adrenalina di certe vittorie allo scadere (contro avversari modesti) hanno creato un velo d’illusione che è caduto passo falso dopo passo falso fino all’attuale umiliante -17 dal Bra che l’anno prossimo giocherà in Serie C. Non è un caso che solo in cinque partite (di cui una già con Unghero al timone) il Varese abbia vinto con due o più gol di scarto. Il fattore campo? Innegabile che il terreno dell’Ossola (e l’impianto in generale) sia in condizioni pietose (e il tema stadio sarà di stringente attualità in estate), ma non è stata certo questa la causa dei punti persi: qualora il Bra non dovesse vincere domenica, il Varese chiuderebbe al comando la classifica delle gare casalinghe con 40 punti. Sono i soli 21 totalizzati in trasferta a pesare a bilancio…

È evidente che qualcosa si sia rotto nello spogliatoio biancorosso. L’addio di Montanaro (che sembrerebbe esser promesso sposo al Fasano) dopo la sconfitta di Tortona è stato il primo allarme e il rapporto spezzato tra allenatore e squadra (Floris era un separato in casa nell’ultima settimana) ha fatto il resto. Eppure, questa squadra doveva essere la più forte. E, curriculum alla mano, lo era davvero. Se il Varese era la più forte del girone e la NovaRomentin quella che gioca meglio, allora perché ha vinto il Bra? Perché i giallorossi hanno messo insieme le due cose grazie ad un collettivo (inteso come alchimia di gruppo e ambiente) spanne sopra la concorrenza. Sia chiaro: le colpe non sono solo di Floris o di Montanaro, ma vanno spartite con tutti i protagonisti in gioco, aspetto che Antonio Rosati ha voluto fermamente ribadire preannunciando quello che sarà il mantra del Varese 2025/26 (“Le scuse sono gli alibi dei perdenti”).

E gli aspetti positivi? Fin da inizio anno, Floris è stato un maestro nell’avvicinarsi a quella Curva che ancora oggi lo stima, e il tecnico carmagnolese ha dimostrato che la passione calcistica di Varese arde ancora (per quanto sia d’attualità ribadire la frase “il calcio a Varese è morto). Non è bastato accenderla: questa stessa passione va coltivata e alimentata continuamente, come fatto ad esempio nell’anno dell’Eccellenza dei record con Giuliano Melosi (presente domenica tra le vecchie glorie biancorosse) in panchina.

Ovvio che gli animi ad oggi si siano raffreddati, ma un nuovo progetto (giusto) potrebbe riuscire dove quello di quest’anno ha fallito. E il Varese non cadrà in basso, perché in queste stagioni ha saputo costruire sapientemente le sue fondamenta. Per qualcuno sarà pura retorica, ma aver creato un settore giovanile del genere in così poco tempo è un aspetto veramente da elogiare e, in tal senso, oltre alla famiglia Rosati, i complimenti vanno fatti a Massimo Foghinazzi che ha costruito un piccolo prodigio sull’asse Gavirate-Varese. Se l’Under16 Provinciale porterà a termine il suo campionato con la promozione (e l’attuale primo posto lascia ben sperare), i biancorossi avranno chiuso la stagione con tre titoli giovanili (U18, U17 e U16) e l’anno prossimo potranno contare su un’intera Agonistica Regionale (tra cui due categorie Elite in U17 e U15). Semi per il futuro, certo, ma comunque importanti, così come è importate aver ultimato il Centro Sportivo delle Bustecche che splende di biancorosso giorno dopo giorno.

Ultimo, ma non meno importante (tornando alla Serie D), la squadra. Come ribadito in precedenza il Varese costruito da Floris e Montanaro era la più forte sulla carta. È mancato qualcosa? Sì, ma ciò non significa che tutto debba essere distrutto e gli ultimi mesi non possono (e non devono) cancellare la bontà del progetto tecnico. Da molti di questi giocatori, anche da chi ha performato meno, si dovrà ripartire con una nuova guida più esperta e più salda, per provare a vincere la Serie D 2025/26 che già oggi si profila come molto più impegnativa rispetto a quella di quest’anno. Sfida che il Varese Football Club che sta per nascere è pronto a intraprendere.

Matteo Carraro

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