Intanto. Non chiamiamolo Salary Cap. Non lo è. Certamente non nella filosofia di fondo che vuole il tetto salariale imposto per garantire l’equilibrio competitivo prima ancora che il contenimento dei costi. O, in un termine abusato, la sostenibilità. In questo senso, la nuova misura varata martedì 29 aprile dalla Lega Pro sembra andare nella direzione giusta. Ma (ad occhio e croce), non attraverso la via più breve. Premesso che ridurre all’osso un provvedimento complesso come il nuovo vincolo alla spesa è poco coerente con la completezza di analisi, la sintesi si rende comunque necessaria. Quindi, proviamo a mettere le carte sul tavolo. Confrontando le linee guida del format approntato per la Serie C con quanto avviene nelle leghe professionistiche americane. Storicamente, le pioniere e più attrezzate in questo campo.

Salary Cap sperimentale Lega Pro      

Dalla stagione 2025/26 in via sperimentale e da quella successiva in via definitiva ogni club affiliato alla Lega Pro non potrà spendere più del 55% del rapporto tra emolumenti (nella frazione entreranno solo i contratti sottoscritti dopo il primo luglio 2025), ed il valore della produzione (parametro all’ingrosso assimilabile al fatturato). La formula è chiaramente modulabile per ogni realtà perché maggiore è il denominatore e più si potrà innalzare il monte stipendi. L’autoregolamentazione prevede un Campionato di “riscaldamento”, mentre dal 2026/27 le infrazioni produrranno sanzioni economiche utili a finanziare la seconda fase della Riforma Zola. Quel cambio di paradigma che vuole affidare alla terza serie la dimensione di lega di sviluppo per i settori giovanili. Logica che giustifica la presenza delle seconde squadre. Oltre che i contributi al minutaggio.          

Normativa NBA

Le Leghe Professionistiche americane applicano dei vincoli alla libertà di spesa secondo parametri comunque omogenei. Il sistema più collaudato è senza dubbio quello della NBA. Denominato Soft Cap per l’elasticità di imposizione delle sanzioni. Sulla base degli introiti dell’anno precedente dell’intera lega (non della singola franchigia), in ogni annata sportiva viene stabilito (con svariate eccezioni legate alle tipologie contrattuali), un tetto massimo per i salari (nel 2024/25 pari a 140,580 mln di dollari). Contestualmente, viene però stabilito anche un valore minimo (floor) pari al 90% del cap (quest’anno 126,529 mln di dollari). Cioè, ogni squadra non potrà spendere più del massimo ma neppure meno del minimo. Così da dare anche ai cosiddetti small market la possibilità di stare ai vertici (al netto comunque di correttivi legati al mercato televisivo e al marketing territoriale). E avendo davvero nell’equilibrio competitivo la stella polare dell’impalcatura regolamentare. Tanto che negli ultimi 5 anni, altrettante diverse franchigie hanno vinto l’anello e ben 8 sono arrivate alle Finals. Quanto alle sanzioni, la cosiddetta luxury tax (tassa imposta allo sforamento), diventa esecutiva con una tolleranza piuttosto ampia (circa 30 mln). Dando un senso al Soft Cap di cui sopra.                  

Quindi?

Ovvio che paragonare un sistema chiuso come quello dello sport professionistico americano con uno indotto (peraltro affluente del dilettantismo), come quello della Serie C sarebbe fuorviante. Ma se l’obiettivo è garantire l’equilibrio competitivo, imporre un tetto (cap), senza avere delle fondamenta (floor), rischia di lasciare immutati i rapporti di forza economica tra i club. Se non, addirittura, di aumentare le differenze. Per dire che non si accorcia certo così la distanza tra il Vicenza che presenta un payroll di 6,864 mln e la Clodiense che paga stipendi per 700 mila euro. Se invece il goal è la sostenibilità, il dubbio che possano ripetersi (a prescindere dalle limitazioni di spesa) casi limite come quelli vissuti in questa stagione sportiva con Turris, Taranto e (work in progress), con la Lucchese è più che legittimo. E visto che l’intento della Lega Pro è quello di porsi come laboratorio normativo per le serie superiori, introdurre un sistema più prossimo al seppur molto rivedibile Financial Fair Play applicato dall’UEFA, sarebbe stato (forse), più efficace. A questo punto, non resta che attendere l’impatto della sperimentazione. Ma, comunque sia, non chiamiamolo salary cap.       

Giovanni Castiglioni     

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