Sono varesino e me ne vanto!”. L’immancabile colonna sonora che accompagna le partite del Varese (ancor più bella se intonata a squarciagola dopo una vittoria) è già di per sé adrenalinica, contagiosa ed emozionante. Per chi ha sempre vissuto sulla propria pelle i colori biancorossi dev’esserlo ancor di più e i brividi sulla pelle di Pietro Marangon lo testimoniano al meglio.

Centrocampista classe 2006 (da sempre in biancorosso, eccezion fatta per due anni a Gavirate dopo l’ultimo fallimento), il “figlio di Varese” aveva iniziato la stagione come perno della Juniores Nazionale di Alessandro Unghero, ma la sua avventura in Under19 non è di fatto mai iniziata. “Colpa(o, sarebbe meglio dire, merito) di Roberto Floris: il tecnico biancorosso ha notato Marangon fin dal primo giorno di ritiro, non ha esitato a lanciarlo dal primo minuto in una partita pazza contro l’Imperia e, dopo una lunga gavetta, l’ha trasformato in uno degli elementi più affidabili della squadra: le sette partite consecutive giocate da titolare sono il coronamento (iniziale) di un percorso fatto di sudore, impegno, sacrifici, passione e determinazione.

“Anche la passata stagione avevo fatto la preparazione con la Prima Squadra – esordisce Marangon –, ma non potevo certo immaginarmi di giocare così tanto. Sicuramente ho approcciato bene l’anno, con tanta voglia di imparare, a prescindere dal giocare o meno, e sono orgoglioso di poter difendere in campo i colori della mia città”.

Ti sei conquistato spazio in squadra grazie a tanta gavetta con la Juniores: che esperienza è stata?
“I due anni in Under19 sono stati fondamentali. In particolar modo dirò sempre grazie a mister Unghero perché è l’allenatore che mi ha aiutato maggiormente a mettere in campo il mio carattere e la mia personalità, soprattutto dal punto di vista mentale. Il mister ha sempre enfatizzato l’importanza della testa per la crescita di un giocatore, che chiaramente deve andare avanti di pari passo insieme alla maturità fisica e tecnico-tattica; i fatti dimostrano che ha ragione”

Tra l’altro proprio Unghero ti ha reso più poliedrico, adattandoti al ruolo di difensore.
“Sì, e anche questo, a posteriori è stato un bene. Ho iniziato l’anno da difensore e, complici le esigenze della Prima Squadra falcidiata dagli infortuni, sono stato aggregato come braccetto. Non è il mio ruolo naturale, ci mancherebbe, ma ho avuto la possibilità di farmi notare visto che a centrocampo c’era molta più competitività”.

Da braccetto hai giocato contro il Sant’Angelo in Coppa, ma prima ancora c’è stato l’esordio da titolare contro l’Imperia: che ricordo hai di quel giorno?
“Emozione pura. Ho saputo che avrei giocato titolare appena un’ora prima della partita: avevo le farfalle nello stomaco. Per me Varese è tutto, sognavo quel momento fin da bambino e non mi sembrava vero di essere ad un passo dal realizzarlo. Poi, però, è subentrato subito il clima partita e la tensione del match mi ha permesso di entrare in campo con il giusto atteggiamento. È stato bellissimo”.

La tua stagione ha avuto una tappa fondamentale ad Albenga: da lì sempre titolare. A poco meno di un mese di distanza, qual è l’emozione a freddo per quel gol?
“Non è cambiata (ride, ndr)! Quella è stata una delle giornate più emozionanti della mia vita: non la dimenticherò mai”.

Ovviamente, e ne sei ben consapevole, hai ancora tutto da dimostrare. Quanto è importante, per la tua crescita, condividere ogni giorno lo spogliatoio con giocatori così esperti?
“Giocare è fondamentale per crescere, ma allenarsi con gente del genere lo è ancor di più. Ho tutto da imparare. Penso a Vitofrancesco, a Priola, a D’Iglio, a Romero e a tanti altri… calciatori eccezionali che hanno giocato in categorie importantissime e che hanno potuto fare esperienze impattanti vivendo il calcio vero per tanti anni. Io devo solo farmi le ossa, far miei i consigli che mi danno, e performare il più possibile”.

E mister Floris?
“Mi ha lanciato nel mondo dei grandi. Gli devo tanto, soprattutto per le belle parole che spende su di me. È un allenatore “cazzuto”: ci tiene davvero tanto a farmi migliorare e spesso mi prende da parte per spiegarmi movimenti e accorgimenti. Non è una cosa scontata, a maggior ragione perché dalla Juniores alla Prima Squadra cambia tutto a livello fisico e mentale”.

Già nel corso di queste ultime partite si è comunque vista una tua netta crescita. L’emozione di giocare per Varese immagino ci sia sempre, ma inizi a sentirti già più responsabilizzato?
“Chiaramente l’adrenalina del debutto non si batte, anche se Albenga è stata la partita che ho sentito di più, ma inevitabilmente sono sempre emozionato quando gioco con questa maglia. Oltretutto, stiamo inseguendo un obiettivo importante e io in particolar modo sento di dover rappresentare Varese: non ho pressioni, ma è una responsabilità che mi gratifica”.

La famiglia Marangon è “varesina doc”. L’hai già ribadito, ma ora arriva la domanda diretta: cosa rappresenta questa maglia per te?
“Rappresenta un sogno. Papà Giuseppe è tifoso da sempre e, da molto prima che iniziassi a giocare, vive ogni partita con il batticuore; stessa cosa che da tifoso ho sempre fatto anche io. Ricordo un Varese-Virtus Entella di Serie B: eravamo in curva e l’ambiente era semplicemente pazzesco, non puoi non innamorartene. Adesso che gioco con questa maglia ribadisco che è un’emozione unica: auguro a qualsiasi bambino di Varese di poterla vivere. L’idolo? Neto Pereira, ovviamente. Da giocatore era sensazionale e, nel momento in cui è partito il nuovo corso societario, è stato bellissimo vederlo all’opera dal vivo; un vero esempio”.

C’è un ringraziamento speciale che vuoi fare?
“Sicuramente oltre a papà, anche mamma Manuela mi ha sempre sostenuto e spronato. È grazie a loro se ho imparato la cultura del lavoro, quella stessa mentalità che ho avuto modo di portare avanti grazie ai tanti mister che, a loro volta, mi hanno permesso di migliorare. Un grande grazie anche ai miei compagni della Juniores”.

Ricollegandomi anche alla domanda precedente, ti senti un po’ un esempio per quei bambini che si avvicinano al mondo Varese?
“Nel mio piccolo spero di poterlo essere. Io guardavo sempre il percorso di Malinverno: anche lui di Varese, anche lui ha coronato il sogno di giocare per questa squadra. Lui per me è stato uno stimolo; sarebbe bellissimo diventare lo stesso per alcuni bambini che sognano il biancorosso”.

Chiudiamo velocemente guardando all’attualità: che tipo di partita ti aspetti contro il Borgaro Nobis?
“Domenica sarà una partita sporca. Hanno appena cambiato mister e, così come il Fossano, hanno bisogno di punti perché inseguono un obiettivo che è la salvezza. Il nostro obiettivo, però, è più grande del loro e non possiamo sbagliare. Credo alla Serie C? Sì, senza alcun dubbio: riportare il Varese fra i professionisti sarebbe per me un’emozione inimmaginabile”.

Matteo Carraro

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