
Un minuto. Basta poco per cambiare il corso di una storia, basta poco per trasformare un qualcosa fino a quel momento coltivato, accudito, allevato nel suo diretto opposto. Basta poco per trasformare quell’ultimo passo verso la tranquillità in quello verso il baratro sportivo che sconfina, però, anche questo limite.
Sì perché l’harakiri che si autoinfligge la Pallacanestro Varese nell’ultimo minuto di gioco dei tempi regolamentari contro Cremona, passando dal 68-61 del 39′ al 68-68 del 40′, è solo il primo passo di un fondo che viene toccato da quel minuto in poi. Sportivamente parlando, l’analisi è semplice: un minuto di gioco che è lo specchio di tutti gli errori commessi in questa stagione riassunti in due possessi folli, scellerati, suicidi, di Mitrou-Long prima, che a 30′ dal termine sul +4 invece che “morire con la palla in mano” in attesa di un fallo decide di avventurarsi in un terzo tempo eseguito con la sufficienza che nemmeno un bambino al campetto il giovedì pomeriggio di metà agosto sotto 40 gradi potrebbe avere, sbagliandolo ovviamente, e di Hands, che con 6 secondi da giocare sul 68-68 trotterella fino agli 8 metri della metà campo avversaria, tentando un tiraccio improbabile e senza senso che manda le due squadre al supplementare. Errori figli non solo della pochezza tecnica di questa squadra, che sta facendo della difesa il suo forte perché a voler segnare più degli altri, oggi, il talento in squadra per farlo non c’è, ma soprattutto di una sufficienza mentale e di nerbo che lascia sbigottiti in un momento così importante della stagione ma che d’altronde è stato filo conduttore di tutto l’anno, che si pensava potesse cambiare con l’arrivo di coach Kastritis e che invece pare insita e perpetrante come un germe che non abbandona mai l’ospite ma anzi, finisce per infettare chiunque ne entri a fare parte.
Se l’analisi sportiva arriva qui e tocca l’ennesimo fondo stagionale di una classifica che fa sempre più paura, c’è poi il fondo dell’extra campo dove interviene la cronaca ed i fatti per descriverlo ed analizzarlo: circa 23” dal termine, Scola lascia il suo posto in tribuna (come spesso fa per seguire il finale di partita negli uffici societari), vola qualche parola dai tifosi della curva a cui risponde con occhiate eloquenti e da lì si scatena l’imponderabile: un coro d’insulto pesantissimo nei confronti di Scola da parte della curva e poi un altro ancora, non appena Luis torna a bordocampo per seguire il supplementare, chiaro e diretto che invita il dirigente argentino a salutare e vendere la società.
Momenti di tensione che non terminano lì: si va negli spogliatoi, i toni sono accessi, si sentono in maniera chiara dalla sala stampa dove sta andando in scena un complicato post partita che Kastritis gestisce con calma e sicurezza olimpica nonostante la difficoltà del momento. E poi un uomo della polizia che prende la via del tunnel degli spogliatoi e l’incontro tra gli Arditi e parte della dirigenza, in un confronto comunque pacifico che però è chiaro metro della tensione consumatasi a partire da quel minuto di follia capace di ribaltare le sorti di una sfida che sembrava già scritta, nella speranza che il destino sportivo di questa stagione e di quello societario del futuro nulla passi da quei 60 secondi. Perché è sacrosanto protestare ed esporre il proprio disappunto per una stagione sportivamente scarsa, proprio come l’aveva definita Scola settimana scorsa, ma sempre nel rispetto e sempre ricordandosi che ad oggi un’alternativa a Scola non c’è e indurlo ad andarsene rischia di non essere assolutamente un bene per il futuro della Pallacanestro Varese.
Alessandro Burin