
Il 22 marzo del 1910 nasceva il Varese Football Club: da allora sono passati 115 anni di storia, di successi, di trionfi, di delusioni… di passione. 115 anni dopo quel giorno leggendario, il Città di Varese tiene viva la tradizione biancorossa della città (anche se, lo ricordiamo, i colori sociali all’inizio erano il bianco e il viola che rimasero fino alla stagione ‘26/’27) e l’augurio non può che essere quelli di ricalcare i fasti di un tempo (e di un passato relativamente recente).
Agli alti e bassi proseguiti fino al secondo dopo-guerra è seguita la svolta coi il ritorno alla presidenza di Giovanni Borghi, epopea che coincise con la rapida scalata nel calcio italiano culminata con la promozione in Serie A (la stagione 1964-65 fu la prima nella massima divisione tricolore). Furono anni di grandi soddisfazioni (tra cui un certo 5-0 alla Juventus nel ‘67/’68), ma quella 1974/75 fu l’ultima stagione del Varese in Serie A.

Le tante stagioni consecutive in Serie B coincisero comunque con un periodo che i tifosi ricordano con gioia e tra i protagonisti di quel Varese targato Eugenio Fascetti c’era Gabriele Bongiorni, oggi allenatore degli Eagles Caronno. “Sono arrivato nel giugno 1981 anche se, in quanto militare e quindi a disposizione solo dal venerdì, il buon Fascetti non mi vedeva inizialmente di buon occhio – ci racconta l’ex centrocampista classe ’59 –. Mi sono poi però guadagnato i miei spazi. Fascetti era un precursore, avanti vent’anni rispetto agli altri; non è un caso che oggi si gioca con un pressing a tutto campo, proprio come facevamo noi. In quegli anni si viveva un calcio di passione, sugli spalti con quasi 18mila persone come in campo: eravamo molto giovani, volevamo metterci in mostra e giocavamo per la maglia biancorossa, potendo tra l’altro sfidare squadre del calibro come Milan e Lazio. E proprio con la Lazio ci hanno bruciato il ritorno in Serie A…”.

Da quel momento iniziò una fase di declino e dopo la retrocessione in Serie C nel 1985 il Varese trascorse ben 25 anni tra Serie C1 e C2: furono comunque stagioni di passione, segnati dall’energia dei vari tra gli altri) Claudio Milanese, Luigi Orrigoni e Claudio Turri. E, nel 1994, arrivò a Varese un ragazzo di Venezia che per ben nove anni legò il suo nome alla storia biancorossa: Edoardo Gorini, tutt’ora recordman di presenze con la maglia del Varese (255 gettoni, 257 contando le due sfide playoff contro il Cittadella). “Detenere questo record è per me motivo di vanto – commenta l’ex difensore classe ’74 – perché parliamo di una società storica con cui ho potuto vivere emozioni indimenticabili. Il ricordo più bello? Ricordo con piacere la vittoria in C2: non ero più nei piani, ma ho fatto cambiare idea a suon di prestazioni. In generale mi porto nel cuore ogni vittoria conquistata in biancorosso”.
Dopo la doppia parentesi Pietro Maroso e Riccardo Sogliano, nel 2008 arrivò a Varese un certo Antonio Rosati. La cavalcata dalla C2 alle porte della Serie A (con il playoff perso contro la Sampdoria nel 2012) è presto diventata leggenda regalando al popolo biancorosso anni d’oro. E, chiusa la parentesi Rosati, dopo gli anni bui vissuti tra un fallimento e l’altro, è stato proprio il Città di Varese targato Stefano Amirante, Stefano Pertile e Cesare Bonazzi a permettere di non far morire il calcio in città: dalla Terza Categoria alla Serie D (grazie all’acquisizione del titolo del Busto81), la neonata società sta riaccendendo la passione biancorossa di Varese e il nuovo progetto (di cui Paolo Girardi è presidente) è oggi portato avanti proprio dalla famiglia Rosati.

Ed è proprio Antonio Rosati, il trait d’union tra passato, presente e futuro, a raccontarci la sua doppia avventura biancorossa: “Nel 2008 dovevo comprare lo Spezia e portare là Sean Sogliano come direttore sportivo, ma alla fine l’operazione saltò e io mi ritrovai catapultato proprio a Varese da Sean. Siamo partiti tardi, tra fine giugno e inizio luglio in una situazione non disastrosa ma nemmeno all’acqua di rose, e l’inizio è stato abbastanza traumatico. Il feeling con mister Pietro Carmignati non sbocciò mai, io chiesi a Sean e ad Enzo (Montemurro, ndr) di portarmi un allenatore con la bava alla bocca e mi ritrovati al cancello Giuseppe Sannino. Il resto è storia”.
Storia che Rosati ha ancora intenzione di scrivere, perché certe emozioni non possono essere dimenticate. “A Varese ho dato tanto, ma ho anche ricevuto tantissimo. Le nascite dei miei figli Giovanni e Vittorio sono state le emozioni più forti della mia vita, ma subito dopo arriva tutto ciò che ho vissuto con il Varese: dalle vittorie dei campionati alle splendide annate della Serie B. Sono cose che restano per sempre. Ancora oggi, quando ho momenti di down o di up mi guardo o il rigore di Buzzegoli nella finale playoff contro la Cremonese… o la finale playoff per la A contro la Sampdoria”.
Emozioni che Antonio Rosati vuole vivere ancora: “Ormai ho 56 anni e ho ripreso in mano il progetto Varese con più esperienza e maturità, con una visione a 360° di quella che è un’impresa. Fare calcio al giorno d’oggi, infatti, è fare impresa: devi costruire il tutto uno strato di cemento alla volta, lasciandolo asciugare per continuare a edificare. Siamo partiti con le strutture spendendo tempo, soldi e salute: sono investimenti che rimarranno e arrivare oggi alle Bustecche mi riempie d’orgoglio. Spero di veder nascere su quei campi qualche futuro campione del domani. Le emozioni di oggi sono diverse da quelle di ieri: all’epoca vedevo solo la Prima Squadra, mentre oggi guardo al progetto nel suo insieme. Ovvio, comunque, che il desiderio di riportare il Varese dove l’avevo lasciato c’è eccome”.
Il desiderio di Rosati non è altro che l’augurio di Bongiorni e Gorini, due che hanno vissuto sulla propria pelle il peso e l’importanza della maglia biancorossa. “A Varese mi sono fatto conoscere nel mondo del calcio – dichiara Bongiorni – e qui ho incontrato anche mia moglie Isabella. Varese era, è e resterà una delle mie più grandi passioni, che non merita affatto di restare in Serie D: ho fiducia in questa dirigenza, la Serie A manca da mezzo secolo e ormai anche la B è un ricordo troppo lontano. Presto i colori biancorossi torneranno fra i professionisti”.
“Sono arrivato a Varese da ragazzo e me ne sono andato da uomo – chiude Gorini – raccogliendo tante soddisfazioni in campo, ma soprattutto fuori, con amicizie importanti che tuttora restano. Devo tantissimo a Varese e aspetto con ansia il momento di poterlo riabbracciare fra i professionisti: parliamo di una piazza per cui la Serie B deve essere una categoria alla portata e questo nuovo progetto ha le potenzialità per ritornarci”.
Domani il Varese sarà di scena a Romentino per un match che mette in palio il secondo posto nel Girone A di Serie D. L’obiettivo grosso, la vittoria del campionato, appare ormai fuori portata, ma la volontà della società resta sempre la stessa: riportare il Varese dove merita di stare. Un atto dovuto, una promessa per onorare i 115 anni di una gloriosa società il cui futuro è ancora tutto da scrivere.
Matteo Carraro