È durata un’ora e trentotto minuti la passerella di Mattia Bellucci sull’Arthur Ashe Stadium. Troppo ampio il divario tra il tennista varesotto e Carlos Alcaraz, con lo spagnolo che si è portato a casa il match senza grossa fatica per 6-1 6-0 6-3. Un punteggio ingeneroso che però fotografa bene lo strapotere tecnico e fisico del nativo di Murcia, troppo distante praticamente da tutti i giocatori del circuito e anche da Mattia Bellucci. Il tennista mancino cresciuto a Castellanza termina il suo percorso allo US Open, come lo scorso anno, al secondo turno senza grossi rimpianti, dato l’avversario contro il quale ha dovuto scontrarsi.

Prima della partita Bellucci parlava così della possibilità di scendere in campo in uno degli stadi tennistici più belli e prestigiosi del mondo: “La prima volta che ho visto questo campo, dal terzo anello, è scappata una lacrima. Ero insieme al mio coach, Fabio Chiappini, e ci siamo guardati con un po’ d’emozione”. L’intesa è stata immediata: “Magari, prima o poi, ci giocherò anch’io”
La tensione di aver realizzato un altro sogno che il varesotto coltivava fin da bambino deve aver attanagliato Bellucci, apparso un po’ bloccato in alcune situazioni del match. Anche il servizio non era fluido come al solito (soli 2 ace a fronte di 2 doppi falli, ndr), ma l’esperienza di aver vissuto un sogno, probabilmente, andrà oltre ciò che il tennista azzurro non è riuscito a fare in campo.

A fine incontro, queste le parole di Bellucci ai colleghi di SuperTennis: “Cercavo di dargli poco tempo, ma Carlos se lo prendeva tutto e appena trovavo un minimo angolo entrava con grande decisione – ha detto -. Colpisce la palla forte, ha un ventaglio di giocate imprevedibile. Di solito, con determinati giocatori, se insisto sulla diagonale di rovescio riesco a ricavare qualcosa, oggi in qualche frangente è successo, ma lui ha una capacità di muovere la palla davvero super, sia di dritto che di rovescio: questa è stata una delle chiavi della sua vittoria netta. Inoltre, il suo servizio è davvero eccezionale; entra sempre forte e non puoi permetterti di essere neppure leggermente distratto”.

Tutto questo a rimarcare quanta fatica abbia fatto a entrare in partita con un avversario proibitivo destinato a entrare quanto meno nei primi quattro giocatori della rassegna americana. Anche tatticamente Bellucci non ha avuto modo di dare fastidio ad Alcaraz, con le sue classiche variazioni di ritmo che non hanno scalfito le certezze dell’iberico. Tirando le somme del torneo, però, Mattia Bellucci non può che essere soddisfatto. Il sorteggio malevolo lo ha messo di fronte a un mostro sacro che scriverà la storia di questo sport. E allora rimane il privilegio e la gioia di averlo affrontato, per di più sull’Arthur Ashe Stadium, in una parentesi bellissima conquistata con il lavoro e con la fatica.

Filippo Salmini

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