C’è chi il calcio lo racconta e chi, dal calcio, impara a raccontare la vita. Vito Romaniello non ha mai avuto dubbi su quale fosse la strada giusta: quella con un pallone ai piedi e una forchetta in mano, quella di chi sa trovare sapore nelle storie e umanità nelle partite. Giornalista, autore, direttore di GiocabetTV e custode di Italia Foodball Club e Gazzetta e Forchetta, intreccia sport e cucina come se fossero ingredienti dello stesso racconto perché, come dice lui: “Il calcio è come il cibo: racconta chi siamo”.

Martedì 11 novembre è arrivato in LIUC con passo deciso, sorriso pronto e uno sguardo curioso che sembrava volesse abbracciare tutti. Vito Romaniello non è un ospite, ma un vero e proprio racconto che entra nella stanza, uno di quelli che ti conquistano ancor prima di iniziare a parlare. Davanti ai nostri microfoni ha l’aria di chi ha visto tanto, ma conserva lo stupore di chi ha voglia di scoprire tutto. Ci parla di calcio, di cibo e di giornalismo e ogni parola sembra un passaggio di gioco: preciso, spontaneo e mai banale. Sin dall’inizio ci fa intraprendere un viaggio, uno di quelli che iniziano con una domanda sul mestiere e finiscono per farti parlare di destino, passione e rinascita. Mantenendo un atteggiamento caloroso e un’ironia palpabile, Vito Romaniello ci guarda negli occhi uno per uno e sembra voler dire “sognate forte, ma raccontate con sincerità”. Si diverte a dialogare con noi, a scherzare e a ribaltare le domande. Ride, ascolta e si illumina, facendo subito capire che non è un semplice giornalista, ma un eterno curioso.

Foodball spiega Romaniello è nato come un gioco di parole, ma è diventato un manifesto culturale. Ogni città o ogni squadra hanno un gusto e un carattere”. Mentre parla gli brillano gli occhi. Ti viene spontaneo seguirlo e immaginare con lui i viaggi di Italia Foodball Club: i tavoli di legno abbelliti dalle tradizionali tovaglie bianche e rose, le risate delle persone e il profumo del buon cibo misto ai cori da stadio. È un racconto sensoriale, quasi cinematografico, dove lo sport e la cucina diventano il modo più semplice per dire “noi.

E poi arriva il silenzio, quello che precede il racconto della “partita della vita”. Avete presente quando si cade in un sogno profondo in cui tutto è ovattato, il ticchettio dell’orologio non esiste e la realtà diventa un’eco lontana? Sembra di vivere in un mondo parallelo dove il corpo tace, ma l’anima continua a correre. Così Vito racconta i giorni del Covid: un campo immenso, buio, senza pubblico né cronisti. Solo il rumore del respiro che manca e la speranza che non vuole cedere. Ventiquattro giorni di coma, il buio e il ritorno. Da allora, ogni alba ha il sapore di un fischio di inizio, ogni parola pesa un po’ di più. Dopo aver vinto ai rigori la sua partita della vita, ha imparato ad avere meno fretta e ad ascoltare di più il cuore perché finché si respira si deve continuare a raccontare.

Oggi, con progetti come Gazzetta e Forchetta, Romaniello porta avanti la sua visione: il calcio e la cucina come linguaggio dell’ identità italiana. Un racconto dove il gol perfetto e il piatto perfetto si confondono. Quando l’intervista finisce, resta quella sensazione che solo i grandi narratori sanno lasciare: il desiderio di vivere con più curiosità, di osservare meglio le persone e di cercare un significato anche nei gesti più piccoli.

Romaniello non parla per slogan, ma per immagini. Ogni sua frase ha il ritmo di un telecronista e la dolcezza di un piatto di casa. E chi lo ascolta, anche solo per un’ora, si porta via la sensazione che vivere sia un po’ come segnare un gol al novantesimo. Ci saluta con un sorriso che sembra dire “Continuare a giocare, anche quando la vita vi mette in panchina” e lancia un invito ai giovani: “Imparate a comunicare non solo per mestiere, ma per passione e per rispetto della bellezza”. Spegnendo la videocamera e riponendo i microfoni, ci accorgiamo che abbiamo imparato qualcosa non solo sul calcio o sul giornalismo, ma su come si guarda il mondo: con curiosità, fame e gratitudine.

Francesca Meoni

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