Mi piacerebbe recuperare le fotografie della tribuna centrale del “Franco Ossola” durante i playoff del campionato di B. Fare degli ingrandimenti e dare un nome ai volti dei tanti spettatori presenti. Accanto ai tifosi di sempre o a quelli occasionali si potrebbero riconoscere imprenditori e politici varesini. Quelli che pensano (e a volte dicono) di essere il vero motore di questa provincia. Mi piacerebbe avere una lista con nomi e numeri di telefono. Vorrei contattarli. Non per chiedere soldi da mettere nelle casse di una nuova società sportiva cittadina. Mi piacerebbe fare loro una sola domanda: avranno mai intenzione di passare dall’altra parte? Ci sarà un momento in cui smetteranno di essere spettatori per diventare protagonisti? Mi piacerebbe capire se nelle loro anime c’è un po’ di orgoglio, di senso di appartenenza. Imprenditori o politici sono (o dovrebbero essere) per natura o vocazione il punto di riferimento di una comunità. Il Sindaco Fontana lo sa benissimo e mai come in queste settimane si è visto impegnato ad evitare che il calcio a Varese sparisca. Ha lanciato messaggi ed appelli, spesso caduti nel vuoto.

Vorrei avere tra le mani quelle foto, vedere i (presunti) manager nostrani sui seggiolini biancorossi quando andare allo stadio faceva figo. Molti di loro sono figli che hanno preso (o si sono trovati) in mano le redini dell’attività di famiglia. Hanno ereditato l’azienda ma non la capacità di credere nei sogni di chi l’ha creata. Ecco cosa ci vorrebbe. Una miscela di passione (quella dei ragazzi della curva) e coraggio (quello dell’imprenditore che nei momenti di crisi investe sul futuro). Che non vuole dire incoscienza. Il senso di appartenenza si vede forte nelle ultime generazioni, non in quelle che le hanno precedute e che potrebbero dare una mano al calcio cittadino. Appartenere a una comunità significa anche difenderne con forza i simboli. E una squadra di pallone rappresenta pur sempre la città. E’ come una bandiera che non può essere strappata dall’indifferenza collettiva.

Ma forse Varese è solo questo: il dormitorio di Milano. Ricordo con rabbia che per la finale di ritorno con la Sampdoria (la partita che valeva la serie A!) un centinaio di biglietti rimasero invenduti. Imprenditori-spettatori e politici-oratori hanno perso credibilità. Palazzo Estense è diventato il luogo degli appuntamenti dove cercare di mettere insieme una cordata per la prosecuzione del calcio in città. Ci trovi giornalisti a caccia di notizie, curiosi, gente interessata che dopo poche ore perde il coraggio di imbarcarsi in questa nuova avventura. Sono ore di vana attesa.

Eppure un sogno nel cassetto c’è sempre. Claudio Milanese (ancora e solo lui!) che segna un gol a tempo quasi scaduto e decide di tornare ai vertici del calcio cittadino, come fece nel 1988 e 1993. Magari chiedendo una mano all’amico Stefano Capozucca (oggi a Cagliari) con il quale fece le fortune del Varese Football Club. Sarebbe bello vederlo ancora una volta insieme a Orrigoni. Oggi Paolo sta portando avanti con successo l’impresa del papà. Ricordo ancora quando Luìs, il “signor Tigros”, mi invitò nella villa di Azzate per illustrare i piani ambiziosi con i quali intendeva rilanciare il Varese. O quando Milanese nel mio “Fiestino” chiese di stargli accanto nel momento dell’autoretrocessione necessaria a ripartire più forti di prima.

Quelli erano Uomini. Gente che aveva coraggio e attributi. Non spettatori, ma protagonisti, sul campo come nella vita. Il sogno? Che Milanese e Orrigoni decidano di ripercorrere le impronte di qualche anno fa. Di imboccare nuovamente quel sentiero e illuminare con la propria luce l’oscuro presente della realtà varesina. C’è chi ha bisogno di un esempio per svegliarsi dal torpore. E quando il futuro è incerto bisogna guardarsi dietro, cercare nella propria storia i valori per andare avanti. Non si tratta di corsi e ricorsi, ma di essere spettatori o protagonisti.

Vito Romaniello
Direttore di Agr