Da 50 anni il Varese è la sua grande passione. Daniele Zanzi, agronomo, naturalista, fondatore di “Fitoconsult” e presidente della Commissione Paesaggio del Comune di Varese, è cresciuto con i colori biancorossi negli occhi e nel sangue, nel bene e nel male, come ogni matrimonio che si rispetti.
“Seguo il Varese dalla stagione 1963-1964 -afferma Zanzi- Ricordo ancora la mia prima partita, Varese-Cosenza, durante la quale i tifosi di casa urlavano agli avversari lo sfottò ‘Senza Cò’, in un tifo colorito e genuino che ormai si è perso, e non fa più parte del calcio moderno. Da allora non mi sono mai perso una partita, impegni lavorativi permettendo, dalla Serie A fino all’inferno delle serie minori”.
Un amore a prima vista dunque.
“Senza voler scomodare Curzio Malaparte, ciò che più mi ha attratto è stata l’atmosfera da ‘Strapaese’ che si respira all’Ossola; mi spiego: le emozioni che si respirano alla partita del Varese, hanno la capacità di creare un ambiente unico, in grado di unificare un’intera città. Questa è una cosa che succede raramente nel calcio moderno degli Ibrahimovic e soci e il merito è di tutto l’ambiente biancorosso, che ha saputo mantenere nel corso degli anni questo clima gioviale di festa e unità. Esempio lampante, è la finale playoff dello scorso anno contro la Sampdoria. Passeggiando per Corso Matteotti in quei giorni, era possibile percepire come il Varese fosse entrato nel cuore di tutti, famiglie, uomini, donne e bambini, in un turbinìo di colori biancorossi e suoni unici nel loro genere. Io dico Zecco meglio di Ibrahimovic!”
E poi c’è lo storico “Franco Ossola”.
Ah -sospira- Il Franco Ossola. In tutta la mia vita ho avuto modo di visitare numerosi stadi, dal Santiago Bernabeu a Madrid al Wembley a Londra, passando per il Camp Nou di Barcellona e l’Old Trafford di Manchester. Mai e poi mai ho visto uno stadio più bello del vecchio impianto di Masnago. Non mi si fraintenda: le strutture sono insufficienti e fatiscenti, ma lo spettacolo che si può osservare è un qualcosa di unico. Dal Sacro Monte e il Campo dei Fiori, nel quale si distinguono uno ad uno i faggi e i castagni che primeggiano sulle vette, fino al parco di Villa Adele-Villa Bassanini e la bianca Villa Bernasconi-Dubini a ridosso della galleria che conduce alla funicolare della Prima Cappella. Spero che se mai il Varese dovesse fare il salto di categoria, non si cambi stadio, ma che si mantenga lo storico Franco Ossola, che fa parte della tradizione biancorossa”.
Tornando al calcio giocato, cosa c’è di diverso, se c’è, rispetto agli altri anni?
“La consapevolezza di essere saldi, forti e determinati. Non siamo più una comparsa o una meteora, ma siamo una squadra che a tutti gli effetti merita questa categoria e che anzi ha dimostrato di poter ambire a qualcosa di più. Siamo come il Varese di Anastasi e Picchi, a suo tempo chiamato a fare una tournée in Americano sotto la presidenza di Giovanni Borghi”.
Promozione possibile dunque?Oppure manca ancora qualcosa a questa squadra?
“Premesso che la squadra potenzialmente è già a posto così, a mio parere servirebbe un centrocampista che porti grinta e qualità nel mezzo, dove si crea il gioco. Inoltre credo che, se Ebagua non dovesse rimanere, serva anche un centravanti di fisico e potenza, che sappia sbloccare le partite contro squadre, come l’Ascoli ad esempio, che vengono qua a Varese chiudendosi in difesa”.

Marco Gandini