Bruno Arrigoni: seguitelo. Come geologo, antropologo, storico, scienziato e narratore di un argomento intrigante come la pallacanestro. Bruno Arrigoni: seguitelo, semplicemente, come un “Professore”, uno dei pochissimi rimasti nel panorama cestistico italiano. Bruno Arrigoni: oggi direttore sportivo; ieri allenatore di alto livello; sempre mente lucidissima e pensieri schietti. Una chiacchierata con lui, come si suol dire, vale sempre il prezzo del biglietto. Quindi, seguitelo anche solo per la fortuna, e il piacere, e il privilegio, di averlo ancora a Varese.
Ed è la terza volta…
“Dalla prima volta sono trascorsi più di quarant’anni: un tempo che applicato alla pallacanestro equivale  ad intere ere geologiche. Ogni volta che mi guardo alle spalle, rivedo quel periodo, e lo raffronto con il presente mi vengono i brividi nel pensare a quanto e come sia tutto completamente e pazzescamente cambiato. Attenzione, non in meglio o in peggio: solo tutto molto, molto diverso”.
Raccontale, queste ere, cominciando dall’archeozoico…
“Arrivo a Varese nella stagione 1973-74, chiamato da coach Sandro Gamba il quale, appena nominato allenatore al posto di Aza Nikolic, mi vuole come suo assistente. Con Gamba abbiamo già lavorato insieme al Simmenthal, ma la sua chiamata mi sorprende e mi inorgoglisce anche perché, allora, firmare per l’Ignis era come toccare il cielo con un dito. A Varese trascorro tre stagioni stupende, vinciamo tutto il possibile e vicino al mio “Gambetta”, grandissimo allenatore e persona cui devo molto, ho la possibilità di conoscere e allenare campioni incredibili e vivere esperienze straordinarie. Irripetibili”.
Seconda era: il mesozoico…
“Torno in città, ma solo per un campionato, nella stagione 1996-97, chiamato da coach Dodo Rusconi per fargli da assistente. Ho il ricordo di un anno bellissimo, sereno, divertente e vincente grazie alla presenza della coppia Pozzecco-Meneghin, due campioni meravigliosamente esuberanti, oltre che trascinatori di un gruppo di talento. Il campionato si chiude alle semifinali playoff nelle quali ce la giochiamo alla morte contro la Fortitudo>.
Terza era: quaternaria o, se vuoi, il presente…
Eccomi a Varese nella veste che, abbandonati i panni di allenatore, ormai indosso da circa quindici anni: quella di direttore sportivo una definizione che, nel mio caso, mi sembra più adatta rispetto a quella di general manager”.
Preferita, perché?
“Perchè, per come la vedo io, il g.m. si occupa, o dovrebbe farlo, a 360 gradi della vita societaria, mentre io ho solo le competenze per occuparmi dell’area tecnica. Poi, il g.m. spende la sua vita in sede, in ufficio, occupandosi di tutto ciò che succede in un club, mentre io, in ufficio, al massimo posso dare una mano di bianco perché sono sempre stato, sono tuttora, un uomo di campo, di palestra di spogliatoio. Il mio spazio è stato e sempre sarà il 28 x 16. Fine”.
La storia, a Masnago, pesa. Tanto…
“Storia, tradizione e passato devono funzionare come basi da cui partire e sulle quali costruire. A Varese hai la fortuna di poter volgere lo sguardo al passato e, se sei attento, ricavare sempre spunti interessanti. A patto, però, che le storie di ieri non diventino come un pesante fardello che ti schiaccia o un continuo, e sbagliato, punto di paragone. Un atteggiamento ingiusto perché chi tira sempre in ballo il passato è prigioniero del sogno e, ahimè, rimpiange solo la sua giovinezza. Poi qui a Varese, avendo già visto tutto il basket possibile e immaginabile, si vive in una miscela formata da entusiasmo puro e leggero disincanto”.
A Cantù ti sei fatto la fama di “Re” del mercato degli stranieri: quali quelli che consideri i gioielli di un’ideale collana?
“Sono davvero tanti i “preziosi” che faccio persino fatica a ricordarli. Però, di getto, mi vengono i nomi di Kaukenas, Thorton, Stonerook, Phil Jones, Mazzarino, Mc Cullogh, Hines e mi fermo qui”.
All’Openjobmetis, per ora, con gli stranieri ti sta dicendo male…
Ho fiducia in questo gruppo anche se, causa infortuni non lo abbiamo praticamente mai visto in campo al completo. Ma, di più, ho fiducia nell’ottimo lavoro di Paolino Moretti che in palestra si spacca in quattro per far migliorare i singoli e la squadra. Oggi, però, siamo un cantiere aperto che è partito con un direttore dei lavori e un capomastro –Wayns e Galloway -, ed è già stato costretto a cambiare entrambi. Oggi, poi, siamo in pura emergenza con un grande giocatore come Ukic che, al momento, ha la data di scadenza stampata sulla schiena. Insomma: niente è facile, ma anche noi abbiamo il dovere di giocare meglio, dare il massimo davanti al nostro pubblico e, contro Pesaro, iniziare a muovere la classifica. Assolutamente”.

 Massimo Turconi