Parlo con Guido Saibene, aiuto allenatore di coach Carlo Recalcati e mi viene subito in mente uno sketch di Enzo Jannacci, il recitativo nel quale il grande Enzino diceva: “L'Idroscalo? Ci sono nato dentro”.


Ecco, nel caso di Guido basta cambiare la scenografia e al posto del “mare” di Milano mettere il PalaLido, che nonostante i mille esperimenti, resta a pieno titolo la “casa” riconosciuta del basket milanese.


Saibene, è nato in zona San Siro, poche centinaia di metri di distanza dal PalaLido e, comunque, fra le mura dello storico impianto milanese ha passato una vita. Chi, dunque, meglio di Guido può parlarci di derby e spiegare che aria si respira prima che vada in scena un “clasico” del basket italiano.
“Il PalaLido è stata la mia prima casa dei sogni perché su quei legni, quello del campo principale e quello della mitica secondaria, ho avuto la fortuna di veder crescere tutta la mia carriera: dalla prima panchina, quella della squadra propaganda fino, anno domini 2000, quella della serie A. Un percorso lungo quasi 25 anni anche se, devo confessarlo, da ragazzino io facevo il tifo non per l'Olimpia, ma per la Pallacanestro Milano, allora targata MobilQuattro e poi Xerox con i grandissimi Jura, Lauriski, Rodà, Beppe Gergati, De Rossi, Farina e dei coach Sales, Guerrieri, Gurioli. Poi, iniziato il mestiere di allenatore, la Pallacanestro Milano era già in disarmo e in città, per uno che voleva allenare ad alto livello, esisteva solo l'Olimpia”.



Una carriera in maglia Olimpia che, lo ricordavi prima, ti ha portato praticamente dal minibasket all'Everest della serie A.

“Sì, e con grandi soddisfazioni soprattutto dal punto di vista umano perché, nel corso degli anni, ho avuto il privilegio prima di “allevare” poi di allenare non solo ottimi giocatori, ma anche grandi persone. Alcuni di loro, De Piccoli, Ricky Pittis per tutti, hanno conquistato la serie A sul campo, altri, la maggior parte in verità, hanno ottenuto, aspetto molto più importante, la promozione in serie A nella vita. Tutti i ragazzi mi hanno regalato qualcosa e se a qualcuno di loro sono riuscito a trasmettere qualcosa di più dei meri valori tecnici e tattici sono ancora più felice”.



Hai la sensazione che sia successo?

“Penso di sì, spero di sì, con parecchi di loro, ma soprattutto con la famosa classe '68, gruppo di ragazzi di grande valore sul campo e fuori”.



Parliamo di derby: come ci arrivate e che idea ti sei fatto in merito ad una Armani che, sorprendentemente, sta facendo fatica?

“Varese arriva in condizioni non ottimali perché infortuni e acciacchi stanno limitando il nostro lavoro e la qualità degli allenamenti. Non stiamo granché bene e alcuni giocatori importanti che nei mesi scorsi hanno tirato la carretta adesso accusano la stanchezza. Solo da queste difficoltà, vorrei sottolinearlo con tutta la forza del mondo, nascono i “problemi strutturali” di cui ha parlato a lungo anche Carlo Recalcati e non certo, come qualcuno ha volutamente equivocato, da errori nella costruzione della squadra. Anche Milano però mi sembra stia vivendo qualche vicissitudine. Così, tra due squadre malaticce conteranno cuore, intensità, mentalità, carattere: le uniche qualità con cui noi possiamo sperare di riempire il gap che ci separa da Milano perché se parliamo di “nomi”, tecnica, fisicità e atletismo i milanesi ci sovrastano, ma questa battaglia si vincerà, facendo mucchio, tutti insieme avendo Varese nel cuore”.

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