E’ forse il primo selfie Daspo della storia degli stadi italiani. E il primato non poteva che toccare a Busto Arsizio, città che negli ultimi anni (a livello calcistico) ha fatto incetta di cattiva stampa. Salvo poi scoprire a volte (caso Boateng su tutti) come la verità processuale non corrispondesse affatto alla vulgata popolare. Anzi.

Intanto i fatti. Domenica 10 gennaio, nell’intervallo della gara con il Renate, nella curva dello “Speroni” un gruppo di tifosi biancoblu viene ritratto mentre (a volto coperto) esibisce gestualità di carattere fascista. Alcune di queste foto vengono postate in rete suscitando polemiche a nastro e diventando la sponda di un’inchiesta che porta la polizia all’identificazione di alcuni dei presunti protagonisti dello scatto. Nella giornata di ieri, il Questore di Varese notifica così a tre di loro il provvedimento di Daspo: 5 anni con obbligo di firma per due recidivi e 3 anni per il terzo. Beffarda ironia della sorte, proprio quella domenica venivano omaggiati alcuni ragazzi di rientro da analogo divieto. Quando si dice il tempismo.
Tra i due recidivi anche il consigliere comunale bustocco Checco Lattuada che, nel frattempo, fa ironicamente coming out sulla pagina del suo profilo Facebook ammettendo lo psicoreato orwelliano. In estrema sintesi (questo il suo pensiero), si tratta di un processo alle intenzioni. Posto che ogni azione presuppone una reazione, colpisce il timing e l’inflessibile severità con cui viene sistematicamente censurato tutto quanto gravita intorno alla Pro Patria (e allo “Speroni”). Insomma, siamo davvero sicuri che la pena sia commisurata all’atto?

Giovanni Castiglioni