Il caso Boateng è finalmente chiuso. Con la rinuncia da parte della Procura di Milano a ricorrere in Cassazione contro l’assoluzione in appello dei sei tifosi biancoblu protagonisti di presunti cori razzisti durante Pro Patria – Milan del 3 gennaio 2013, su quel controverso caso giudiziario (e mediatico) si scrive la parola fine. Lo ha reso noto attraverso il suo profilo Facebook Riccardo Grittini, figura chiave (suo malgrado) della vicenda in virtù della militanza politica nelle file della Lega.
I fatti sono arcinoti. Al 26’ del primo tempo, l’amichevole con i rossoneri veniva sospesa dall’arbitro Benassi dopo che Boateng aveva scagliato il pallone contro la curva dello “Speroni” in risposta ai cori piovuti da quel settore dello stadio. Da lì in avanti articolesse di ogni genere e riprovazione planetaria nei confronti di città e tifoseria dipinte come simbolo dell’intolleranza strisciante del nostro calcio. Dopo la condanna in primo grado però, la Corte d’Appello ribaltava la sentenza poiché “i cori non erano ingiuriosi e non avevano una connotazione razzista nei confronti dei calciatori di colore”. Tra i bersagli, c’era invece la dolce metà del Boa, la showgirl Melissa Satta, entrata poi di diritto tra le hit della curva tigrotta. Una goliardata discutibile quanto si vuole dunque. Ma non un reato.
Ora a fare testo è quindi proprio la sentenza di secondo grado che, il 28 maggio 2015, stabilì che il fatto non sussisteva. E, che piaccia o meno, in uno stato di diritto una sentenza passata in giudicato è come la matematica. Non è un’opinione.

Giovanni Castiglioni