Padova Pro PatriaNel calcio i numeri dicono molto. Nel caso della Pro Patria non abbastanza. Perché il fallimento sportivo della stagione in corso (sancito ieri anche dall’aritmetica) è rappresentato solo parzialmente dalle 22 sconfitte, dalla singola vittoria, dai 7 punti in classifica (10 al lordo della penalizzazione), dai 3 allenatori (e mezzo), dalle quasi 200 giornate di assenza per infortunio e dalla retrocessione con 4 turni di anticipo. Il flop vero è un altro. Ed è davanti agli occhi e non dietro le spalle. Riguarda cioè non il passato ma il futuro prossimo. Perché gettare al vento un campionato fa parte dei rischi del mestiere. E’ successo ad altre società più titolate ed in condizioni meno d’emergenza. Senza retorica, non è una tragedia. Ma farlo senza porre le basi di una nuova ripartenza è molto più allarmante. E di queste basi, in casa tigrotta, non si vedono i presupposti.

Non sul piano tecnico. Il gruppo è povero di valori e (tolti La Gorga e i senatori) gli unici ragazzi (in parte) valorizzati da questa annata (Demalija, Possenti e Marra) non sono di proprietà della Pro Patria. Non sul fronte del tifo. Svuotare lo “Speroni” è un attimo. Tornare a riempirlo è tutta un’altra cosa. E nemmeno su quello economico/commerciale. La crisi morde. A quanto pare, a Busto più che altrove.

Ma non è tutto. In via Cà Bianca (salvo miopia di chi scrive) non esiste ad oggi un’idea, un progetto, una vision (si direbbe in un forum aziendale) per svoltare il momento buio. I prossimi mesi serviranno a smentire questa sensazione. Ma serviranno fatti. E non parole. Perché si ha voglia a dire ripartiamo. Ma bisogna sapere da dove, con chi e con quali mezzi.
A partire dal minuetto societario. Al momento l’unica (quasi) certezza è che a breve Patrizia Testa rileverà la maggioranza societaria dalla SportPlus4You di Nitti e Collovati. E poi? Qui sta l’inghippo perché la navigazione in solitaria comporta alcuni vantaggi e parecchi rischi. Che non andranno sottovalutati. Basta averne consapevolezza.

Per chiudere (e alludiamo al presidente biancoblu), una nota di colore. Essere regolarmente in televisione (a parlare d’altro, s’intende) mentre la squadra è in campo, prima ancora che indelicato, rischia di diventare provocatorio. Il 16 ottobre scorso, a margine dell’elettrica conferenza stampa in cui annunciava la disponibilità a cedere le quote, proprio Nitti ebbe modo di chiosare: “Quando ci salveremo, perché sono convinto che succederà, nessuno pensi di salire sul carro”. Purtroppo per lui (e per noi), siamo rimasti a piedi. In tutti i sensi.

Giovanni Castiglioni