Il cognome Bulgheroni è legato a doppio filo con la Pallacanestro Varese da sempre. Edoardo Bulgheroni, padre di Antonio, fu presidente negli anni ’60 e il periodo della sua gestione coincide con l’inizio del grande ciclo. Antonio (meglio conosciuto come Toto) giocò nella Ignis e vinse tre Scudetti, due Coppe Italia e una Coppa Campioni. Svolse poi un ruolo decisivo per la solidità del club dopo l’epoca Borghi diventando proprietario nel 1981 e rimanendo nel CdA fino al 2001. Durante questo periodo, con il fondamentale contributo del figlio Edo (presidente), arrivò lo Scudetto della stella nel 1999.Toto è tornato a far parte del consiglio di amministrazione nel maggio del 2016.

VARESE PRESENTATO IL NUOVO NOME DEL PALASPORT DI MASNAGO DIVENTA PALA2A NELLA FOTO TOTO BULGHERONIQuali passi hanno accompagnato la sua decisionedi rientrare nella Pallacanestro Varese?
«Ho accettato l’invito che mi è stato rivolto da Alberto Castelli e Monica Salvestrin. Ero disponibile a dare una mano nell’aspetto tecnico se l’avessero ritenuto opportuno: aiuto sempre volentieri questa società che rappresenta una parte importante della mia storia personale. Ho avuto supporto da tutti durante questo percorso di riavvicinamento e per cui sono molto contento. Non per i risultati che stiamo avendo sul campo, ovviamente, ma speriamo di trovare una quadratura».

Quali sono gli obiettivi di questa società dopo il cambio di assetto che si è verificato nella scorsa estate?
«L’obiettivo principale deve essere quello di cercare di dare una continuità societaria. È fondamentale creare la possibilità di continuare ad esistere, conoscendo con precisione quali possono essere i budget. Le disponibilità economiche non sono grandissime, per questo bisogna saper scegliere bene, e ci si deve sempre porre l’obiettivo difare campionati dignitosi. I mezzi a disposizione della Pallacanestro Varese non permettono di certo di puntare ad essere tra le prime quattro, ma tra le prime otto sì. Purtroppo poi le cose non vanno sempre come si vorrebbe».

Reggio Emilia è una squadra a trazione italiana, una rarità nella pallacanestro di oggi. Come mai l’impiego degli italiani è calato così tanto negli ultimi anni?
«Io penso che i motivi siano sostanzialmente due e che siano concatenati. In primo luogo ritengo che sia sceso, rispetto agli anni d’oro, il numero degli italiani che possono giocare da protagonisti in Serie A. Di conseguenza, il loro prezzo è aumentato. Per queste ragioni è più difficile riuscire a creare un contesto in cui gli italiani abbiano i ruoli principali».

La sconfitta nel derby può essere uno spartiacque per la stagione. Come si reagisce ad un momento del genere?
«Analizzando con molta serenità il recente momento vissuto dalla squadra, penso di poter dire che nelle tre sconfitte casalinghe ci sia stata una prestazione difensiva non buona. Come spesso accade in questi casi, i problemi difensivi hannoavuto come conseguenza una eccezionale prestazione degli avversari al tiro. Oltre al fatto che la difesa non è stata ottima, va aggiunto il dato fondamentale che in più a noiqualche canestro è mancato. Purtroppo alcuni dei giocatori chiave, a turno, non sono stati in grado di offrire prestazioni in linea con i loro soliti livelli. Poi ci sarebbero tante altre cose da analizzare, ma questo è il quadro generale. E quando si vivono momenti del genere c’è una sola ricetta valida per svoltare: lavorare, lavorare e lavorare. Bisogna avere la capacità di valutare ciò che non ha funzionato, di limare gli aspetti negativie di reagire ad ogni colpo».

Filippo Antonelli