La verità era già sin troppo chiara dopo Ciliverghe (forse, addirittura, dopo Monza). Ma se qualche anima candida avesse mantenuto ancora residui dubbi, lo Speronazo di ieri con il Pontisola li ha spazzati via tutti senza ritegno. Troppa approssimazione, troppa superficialità, troppa mancanza di elementari principi di combattività per non essere autorizzati a pensar male (esercizio nel quale, ahinoi, abbiamo maturato una certa dimestichezza).
La Pro Patria non c’è più. Travolta da un male oscuro di cui è persino banale cogliere i sintomi. Più complicato comprenderne le cause. E la perfida coincidenza con il 98° compleanno, oltre che un mal riuscito scherzo di carnevale, rappresenta anche uno sfregio all’orgoglio biancoblu. Una dose anche solo minima di senso di appartenenza avrebbe evitato la mala parata. Argomento sul quale il manipolo di ex tigrotti presenti ieri al Pro Patria Museum potrebbe fornire utili ripetizioni a gran parte dell’attuale spogliatoio.

Una volta svanita a Monza la possibilità di inseguire il primo posto, la squadra si è sentita legittimata a mollare gli ormeggi. Ognuno per sé e Dio per tutti. Perché? Motivazioni tecniche ed extra tecniche dicevamo settimana scorsa. Con le seconde (sia chiaro) a prevalere sulle prime. Bonazzi ha perso il filo. Lo ha dichiarato lui stesso (“Abbiamo buttato via tutto il lavoro di questi mesi”). Ma lo ha smarrito più nei rapporti personali che sulla lavagnetta tattica. Perché quando si fa riferimento a chiacchiere, prime donne, egoismi, gelosie e (chissà) anche alla presunta dolce vita di qualcuno, beh, modulo e disposizione in campo c’entrano davvero poco. La sbandata di febbraio è ancora rimediabile con un allenatore che (di fatto) ha preso pubblicamente le distanze dal gruppo separando le responsabilità? Non spetta a noi rispondere. Ma se lo strappo c’è (e a quanto pare c’è), andrà ricucito in fretta. Sempre che si sia ancora in tempo.

Le ultime 9 giornate (e l’appendice dei playoff) non potranno regalare direttamente il ritorno in Lega Pro. O meglio, potranno farlo solo attraverso un ripescaggio dai meccanismi complicati e dagli oneri ancora tutti da quantificare. Sul tema, la società mantiene comprensibile riserbo. Ma la mancanza di un messaggio chiaro (almeno questo è quanto appare dall’esterno), può avere varie chiavi di lettura. Autorizzando chi l’anno prossimo sarà altrove a dare il minimo sindacale e chi non ha ancora certezze sul proprio futuro a timbrare semplicemente il cartellino. Perché questo (con pochissime eccezioni) è quanto abbiamo visto negli ultimi 180’.

Analisi sbagliata? Lo si dimostri con i fatti. Non aspettiamo altro.

Giovanni Castiglioni