Bello ritrovare Carlo Recalcati in panchina. Bello e giusto, profondamente giusto, ritrovarlo sulla panchina di Cantù. Esattamente là dove il buon Charlie, il miglior allenatore italiano di tutti i tempi – bisogna avere il coraggio di dire le cose come stanno e ribadire che i risultati raccolti tra club e Nazionale lo confermano in cima al di là di ogni ragionevole dubbio -, ha cominciato la sua avventura da head-coach.
La panchina di Cantù, per Carlo, è come la poltrona del salotto di casa sua. E’ un qualcosa che in oltre trent’anni di carriera ha semplicemente “prestato” ad altri colleghi accompagnato dalla certezza che, prima o poi, un giorno se la sarebbe ripresa.
Quel giorno è scoccato il 2 marzo scorso e Recalcati è stato riaccolto dalla sua gente come l’amico tanto amato e apprezzato e finalmente ritrovato sul “legno” che, come ha dichiarato lui stesso, sarà l’ultimo della sua brillantissima carriera di tecnico.
“Tornare a Cantù – dice Recalcati -, nella mia città e nella società che mi ha visto nascere due volte, prima come giocatore, poi come allenatore, è oggettivamente la miglior cosa che mi potesse capitare in questo momento della mia vita. Qui, infatti, potrò chiudere in modo perfetto il cerchio costruito nel corso di sessant’anni vissuti attorno alla pallacanestro”.

Chiudere facendo qualcosa di utile e importante come, per esempio, salvare la Pallacanestro Cantù dal rischio retrocessione…
“La situazione quando sono subentrato a coach Bolshakov era oggettivamente difficile e vicino al rischio di implosione – continua Charlie -, ma ho trovato comunque un buon gruppo di giocatori, animati da voglia di lavorare e invertire il trend negativo. Un gruppo che peraltro conoscevo già abbastanza perché da qualche settimana, su invito dello stesso Bolshakov, assistevo agli allenamenti e avevo capito qualcosa circa le dinamiche tecniche e mentali interne alla squadra”.

Quali i principali obiettivi tecnici sui quali hai puntato l’attenzione?
“Premessa: quando hai poco tempo a disposizione, a me restavano da giocare solo dieci partite, è importante non fare danni proponendo programmi di lavoro irrealizzabili tecnicamente e/o fisicamente. Così, sono entrato in punta di piedi cercando proporre poche cose: nuove regole e strategie difensive con sviluppo di varie difese a zona; e maggior coralità nella manovra offensiva cercando di migliorare la circolazione di palla per farla diventare più efficace e produttiva per tutti. Le risposte dei giocatori, subito positive anche dal punto di emotivo ci hanno permesso di infilare un tris di vittorie contro Reggio Emilia e Brindisi in casa e Caserta in trasferta, che ci ha allontanato in modo deciso dal rischio retrocessione”.

Quindi, com’è il tuo mini-bilancio dopo un mese?
“Le valutazioni sono tutte ampiamente col segno “più” anche se il rammarico per la gara persa sette giorni fa a Torino è forte perché contro la Fiat abbiamo fatto un paio di passi indietro sul piano dell’intensità e della concentrazione. Però, so benissimo che alti e bassi di rendimento rientrano in un “range” di normalità, in particolare per una squadra che, nuova per filosofia e stile di gioco, sta provando a crescere”.

Invece, che idea ti sei fatto di Varese?
“La stessa idea formulata fin dal primo giorno in cui l’ho vista: quella di una squadra cui, per diverse ragioni, serviva tempo, tanto tempo per potersi esprimere al meglio. Purtroppo per loro le cose all’inizio non hanno funzionato e hanno avuto tanti problemi. In seguito, con Attilio Caja alla guida molti aspetti si sono normalizzati e, oggi, i miglioramenti e le qualità di Varese sono sotto gli occhi di tutti grazie anche alla presenza di giocatori-leader come Kangur, voce importante indipendentemente dal rendimento, Bulleri, che sa quando agire la sua enorme esperienza, e Ferrero, ragazzo quadrato, dotato di grande equilibrio e certamente bravissimo nel trasmettere energia, carica positiva e forza al gruppo”.

Domenica sera il derby, gara sempre e invariabilmente definita speciale ma, fuor di metafora, pensi sia davvero ancora così?
“Per i tifosi di Varese e Cantù è certamente così perché i valori, e i significati, di una partita tanto radicata nell’immaginario collettivo, nel cuore e nella testa della gente non svaniranno mai. Certo, pensare al derby come se fosse ancora la partita tra Ossola-Recalcati o Morse-Della Fiori sarebbe sbagliato e fuorviante, ma posso garantirti che anche i giocatori di oggi sentono e in qualche modo subiscono il fascino di questo evento. Anche gli stranieri avvertono nell’aria l’atmosfera di un match diverso da tutti gli altri. Del resto, vivono tutti in città e alcuni di loro, che vivono in appartamenti posti a cento metri dalla sede degli Eagles, avranno parlato almeno mille volte di questa partita con i tifosi assorbendone come spugne il senso di grande rivalità”.

Quindi, in definitiva, che partita ti aspetti?
“Dal momento che, a meno di improbabili cataclismi, sia noi, sia Varese siamo destinati a restare in queste posizioni tranquille, mi aspetto che il derby si trasformi in una partita bella, ben giocata, all’insegna dello spettacolo. Il pubblico di Cantù e di Varese, dopo una stagione così difficile e controversa, si merita questo e altro…”.

Massimo Turconi