In Italia, in quel lontano 27 novembre 1987, la gente, un po’ preoccupata, si interrogava a proposito di uno dei tanti “lunedì neri” della Borsa di New York. Poi, la Piaggio pensava, in maniera un po’ improvvida, di mandare in pensione la mitica Vespa. Si parlava con grande interesse dell’annunciato tour italiano di Michael Jackson mentre, in casa Inter, dopo una bruciante eliminazione in Coppa Uefa, si metteva in discussione il nuovo mister Giovanni Trapattoni.
In quel lontano venerdì 27 novembre la Ranger Varese di coach Joe Isaac, prima in classifica, si preparava ad affrontare la Tracer Milano e, in un piccolo spogliatoio della palestra di Maccagno, Viviano Molinari, grande, grandissimo arbitro della nostra provincia, si infilava per la prima volta il fischietto al collo e dava il via ad una carriera arbitrale di tutto rispetto che, appunto, proprio in questi giorni festeggia la trentesima candelina.
Viviano, buonissimo arbitro, ma soprattutto eccellente persona, è apprezzato da tutto il piccolo mondo della pallacanestro varesina perchè almeno quattro generazioni di giocatori e giocatrici lo hanno incrociato sui campi da basket e immediatamente ne hanno colto bravura e preparazione tecnica, buon senso “tattico” nello sviluppo della partita, disponibilità al dialogo e profondità umana.

Insomma: quella di Molinari è una bella storia che merita di essere raccontata.
“Prima di accostarmi al ruolo di arbitro -dice Molinari, classe 1960 -, ho le mie esperienze come giocatore e allenatore. Come giocatore inizio a masticare la pallacanestro da ragazzino, d’estate, nella casa dell’amico Marco Moroni a Velate. Il cortile di Marco, che in quegli anni giocava alla MobilQuattro Milano, è generalmente ben frequentato dai suoi compagni di squadra, tra tutti ricordo bene Dante Gurioli, e le sfide sono molto accese. Come tutti i ragazzi di Varese, in quel periodo provo anch’io l’emozione di vestire la maglia Ignis, ma in realtà l’ambiente non mi piace e dopo pochi mesi mi sposto in Robur et Fides per giocare insieme a compagni come Fabio Colombo, Cedro Galli, Molari, Bertoni, Antonetti, con allenatori come il bravissimo e compianto Aldo Monti, Angelo Clerici, Beppe Gergati. Rimasi in Robur fino al secondo anno Cadetti, poi mi trasferisco al Bizzozzero completando il percorso delle giovanili, mentre la prima esperienza da senior, in Prima Divisione, porta il marchio Atletico Varese, club in cui per qualche campionato faccio squadra accanto a “mostri sacri” delle minori varesine come Nacaroglu,Frank Valenti, Poretti, De Francesco, Bielli, Massara, Vivarelli”.

E quando scocca la scintilla del “fischietto”?
“La scintilla scatta per motivi che, inizialmente, non dipendono dalla mia volontà. Spiego. In quegli anni, parliamo di metà anni ’80, ho in mente di fare l’allenatore, ma per diventare coach la trafila, oltre al corso di base, comprende 40 presenze obbligatorie come arbitro. Così, mentre la mia carriera da coach nel G.S. Velate prosegue tra alti e bassi, ricordo una finalissima per andare in Promozione persa di un punto contro l’Atlas Varese di Marco Cadringher, mi accorgo che arbitrare mi piace. Ne parlo con Piero Tallone, allora nostro istruttore, il quale mi incita a proseguire mettendo però in chiaro un punto: la mia età, 27 anni, è considerata già fuori dagli standard per sperare in una carriera ai livelli più alti della gerarchia arbitrale. La mia risposta è semplice: “Piero, non mi interessa  la carriera e, poi, sono contento così”. Quindi, dopo questa lunga premessa, segnalo che il battesimo ufficiale da arbitro si celebra nella palestra di Maccagno per una partita del campionato Allieve tra Maccagno e Venegono. Gara che si conclude con un travolgente 136-28 per le padrone di casa. Gara della quale conservo ancora gelosamente il referto”.

Come prosegue la tua vicenda arbitrale?
“Con orizzonti che, per ragioni anagrafiche sono forzatamente limitati, la mia carriera nei campionati FIP si consuma tutta a livello regionale e abbraccia tutte le categorie possibili e immaginabili. In trent’anni ho arbitrato chiunque e di tutto: dalle finali MiniBasket alle fasi interzona dei campionati giovanili di Eccellenza, dagli incontri di cartello di serie C1 alla Seconda Divisione; dai BAM alle Finali per il titolo UISP. In questo lunghissimo lasso di tempo non ho mai avuto la puzza sotto il naso e, davvero, l’importante era stare sul campo a dirigere le partite. Poi, è chiaro, qualche soddisfazione me la sono tolta”.

Per esempio?
“Per diversi anni insieme al mio maestro-collega-amico Franco Sala ho diretto la partita inaugurale della Pallacanestro Varese a Masnago e ho avuto il privilegio di vedere all’opera i più bei talenti della NCAA e futuri NBA. Ma, ancora più importanti e gratificanti sotto il profilo umano, sono state le 6 finali scudetto che ho arbitrato per il campionato di basket in carrozzina. Gare di altissimo livello tecnico ed emotivo tra Cantù, Sassari, Santa Lucia Roma. Poi, assolutamente da ricordare le finali scudetto della categoria Special Olympics e, infine, ciliegina sulla torta della mia carriera, la designazione, l’estate scorsa, ai Campionati Mondiali Over disputati a Montecatini che, è giusto sottolinearlo, sono stati una vera e grandissima festa della pallacanestro con oltre 3000 ex-campioni e campionesse. Tutti davvero straordinari per passione, amore per la pallacanestro e qualità tecniche”.

molinari arbitro 2Tra migliaia e migliaia di partite arbitrate ti chiedo uno sforzo enorme: isolare alcuni aneddoti significativi.
“Il primo è legato ad un mio piccolo record, tre partite arbitrate in un pomeriggio, che, ai tempi, venne citato anche da Gazzetta e SuperBasket. La prima, ore 14.30, è una gara di CSI a Mornago. La seconda, ore 16.45, una partita di Under 16 a Saronno. La terza, ore 21.00, una trasfertona a Morbegno per dirigere una gara di serie C Femminile. Quasi nove ore consecutive sui campi macinando più di trecento chilometri. Non male, eh? Il secondo episodio si consuma durante un torneo pre-stagionale ad Arese per squadre di serie A. Un collega, che preferisco non citare, gestisce la palla a due iniziale e fischia subito fallo all’americano che ha appena saltato. Partono subito le proteste del giocatore USA che in tempo zero si becca anche tecnico ed espulsione. Con gli animi già molto accesi, interviene anche il secondo giocatore americano che parte in quarta per difendere il suo compagno. Il mio collega in un attimo “spara” tecnico ed espulsione pure a lui. A questo punto succede il finimondo perchè staff tecnico, giocatori, tifosi e tutto il pubblico di casa, accorso in massa per vedere i nuovi americani – tra l’altro in prova -, iniziano a protestare, fischiare, lanciare ululati, insulti e cori. L’allenatore di Arese cerca di far capire che la gara è stata organizzata apposta per “testare” i due americani, ma la frittata ormai è fatta, tornare indietro non si può e arrivare in fondo in un clima avvelenato risulta davvero durissimo. Però ci sono stati anche aneddoti bellissimi, vedi la partita che ho arbitrato tra Pallacanestro Varese e calciatori di serie A con Bruno Arena in grande forma e Recoba protagonista e autore di tre triple in fila. Oggettivamente, non ricordo un momento di serenità e gioia simile a quello”.

In trent’anni hai visto migliaia di giocatori: è il momento giusto per le tue classifiche
“Prima di tutto vorrei far passare il senso di orgoglio per aver “lavorato” al fianco di giocatori fantastici, ineguagliabili. Parlando di serie A ricordo Komazec, il più forte che abbia mai visto, e Pozzecco-Meneghin-Galanda, semplicemente meravigliosi. In serie B ho sempre ammirato Daniele Biganzoli; in C1 Paolino Remonti; in D Fusani e per le ragazze il nome è uno solo: Chicca Macchi. Infine, eccoti il migliore nella speciale classifica dei giocatori rompiballe, quelli caratterialmente davvero insopportabili: Pace Mannion, USA di Cantù, vince con largo distacco”.

Hai qualche rimpianto particolare?
“Mi dispiace non avere più un ruolo attivo come collaboratore della FIP Provinciale. Per 7 anni ho fatto squadra insieme a Italo Binda come designatore e credo di aver fatto un buon lavoro. Poi, alcune cose sono cambiate e la gestione è passata in altre mani, ma mi piacerebbe essere ancora utile”.

Dopo trent’anni di fischi, cosa ti resta addosso?
“Restano la bellezza e il piacere di esser parte di un mondo stupendo come quello del basket. La pallacanestro, in tutte le sue forme, con tutti i suoi bravissimi protagonisti, ha rappresentato, rappresenta tuttora, e rappresenterà in futuro la parte saliente della mia vita. Certo, non è stato un viaggio tutto rose e fiori. In alcuni periodi conciliare gli impegni arbitrali, col mio lavoro da Vigile del Fuoco, con gli impegni familiari è stato faticoso e complicato. I sacrifici sono stati spesso enormi, ma alla fine la bilancia segna un bel “più” e girare per i campi è ancora fonte di grande soddisfazione soprattutto perchè nella maggioranza dei casi ho un bellissimo rapporto con tutti: giocatori, allenatori e dirigenti. Cerco di dimostrarmi sempre disponibile al dialogo purchè non si trasformino le partite in sterili comizi tecnici e ci siano sempre educazione e rispetto”.

E’ il momento dei saluti e dei ringraziamenti: a chi vanno?
“Un ideale abbraccio va al grande Italo Binda, arbitro che è stato mio maestro-tutor-consigliere; a Franco Sala, grande amico ed eccellente collega “di coppia”; Giancarlo Salvetti che ho sempre sentito vicino e ha sempre avuto parole di apprezzamento: Aldo Albanesi, un “professore” dell’arbitraggio nonchè un esempio per tutti noi. Infine: una menzione a parte vorrei dedicarla a due dirigenti dotati di grande signorilità: Diego Pini, il “guru” del basket in Valtellina purtroppo scomparso e Gianni Ratti, vero motore e anima della pallacanestro a Busto Arsizio”.

Ultima, inevitabile, domanda. Molinari arriva sui campi e tutti i protagonisti si danno di gomito sussurrando: “Questa sera arbitra Molinari: dai che si finisce in fretta…”.
“Lo so, so benissimo che gira questa voce ma, credimi, è solo una leggenda metropolitana perchè, cronometro alla mano, le mie partite non durano molto meno delle altre. Forse il mio atteggiamento sbrigativo e la mia capacità di azzerare i tempi morti rendono le partite più scorrevoli, ma non così “corte” come raccontano le “favole”. Poi – conclude in tono ironico Viviano -, i minuti da giocare sono sempre quaranta, o no?”.

Massimo Turconi