C’è fermento in Paradiso. Manè Garrincha palleggia con Leonidas Da Silva, Ayrton Senna giunge trafelato a bordo del suo bolide, Elis Regina conversa amabilmente con Jorge Amado, Cherubini e Serafini attendono con trepidazione il calcio d’inizio dell’evento sportivo in grado di fermare il mondo, il Campionato del Mondo di Calcio. Il Brasile gode sempre dei favori del pronostico. Dal 1938 in poi, la Seleçao verdeoro popola i sogni dei propri tifosi ed abita gli incubi dei calciatori avversari. Vittorie roboanti, delusioni cocenti. Il calcio è come il samba, percussioni e passione, ma anche saudade, nostalgia, tristezza. Il 16 luglio del 1950 va in onda il più grande disastro della storia calcistica brasiliana, il crotalo uruguagio Ghiggia spense la luce, affondò in finale il Brasile nella propria grotta di Betlemme, il Maracanà, profanò il Santuario, un popolo interò fu umiliato, si narra che persino lassù, ove si puote ciò che si vuole, il Grande Capo si rattristò. E poi il furto argentino del 1978, Diavolo Rossi nel 1982, la beffa transalpina nel 1986. Ma il Brasile dipinse anche straordinari trionfi. 1958, 1962, l’era Garrincha “alegria do povo”, 1970, undici Apostoli, 1994, operai del pallone ripudiati dal calcio tricolore, 2002, i Nuovi Angeli. E poi di nuovo il buio, la sinfonia in gol maggiore si trasforma in note stonate. Gli eroi verdeoro faticano, il pallone pesa, le gambe non girano. Germania 2006, un gruppo di gitanti al minimo sindacale. Dal trono celeste Antonio Carlos Jobim soffre per Ronaldo. Un tempo il suo passo era Bossa Nova, il jogo de bola un assolo di pandeiro. In campo pare un onesto pensionato alla ricerca di qualche cantiere da osservare con cappello e mani dietro la schiena. Sudafrica 2010, il comandante Dunga criticatissimo per non osare come le aquile di Clint Eastwood, punito oltre i propri demeriti, affondato da un nano che vive sotto il livello del mare… La Seleçao non era certo groove e ritmo, ma era equilibrata. Lo so, ne sono consapevole, vengo insultato anche dai miei amici brasiliani. Ma io difendo Felipe Melo, guerriero indomito. Cadde nel tranello del serpente a sonagli Robben, un tuffatore, re della sceneggiata. Ricordo perfettamente quel primo tempo di Brasile-Olanda a Porth Elizabeth. Nella vita reale i verdeoro sarebbero stati in vantaggio 4-0. Negli oscuri disegni del Fato, invece, chiusero con un gol solo, peraltro straordinario. E poi fu il disastro. Ora è ricostruzione, il cataclisma è alle spalle. Il futuro è targato 2014, Mondiali di Calcio in Brasile. Delizia e croce. Il mio Brasile non può fallire ancora… Accadde già nel 1950, la fine del mondo. La Corazzata in maglia amarela ha cambiato nocchiero. Mano Menezes, chiamato a sostituire Dunga, è stato a sua volta pensionato. E torna Felipao Scolari o campeao. E sarà tutto come da copione. E’ tradizione che la nazionale brasiliana fatichi in partenza, i devoti verdeoro lo sanno e non se ne preoccupano, lasciano agli esperti di calcio minore i commenti sarcastici. E’ scritto nella storia dei mondiali. Il motore verdeoro è in rodaggio, si limano le imperfezioni, si cercano aggiustamenti, si lancia il nuovo corso dei Neymar, Paulinho, Thiago Silva. Ora tutti negli spogliatoi a suonare, sorridere, cantare. Il verde del prato, l’azzurro del cielo, il giallo del sole, i colori di un calcio splendente. L’invidia condiziona i commenti dei mediocri. Si comincia il 6 febbraio contro l’Inghilterra. Zaini, ramponi, picozze. La scalata sarà dura. Ma il Pao de Açucar ci aspetta. Incontro al destino.

Marco Caccianiga