Parlare di calcio? Impossibile. Perché “Questo non è più calcio”. Pensiero laconico abbozzato da Ivan Javorcic in una sala stampa del “Rigamonti-Ceppi” scaduta ieri a sguaiato Bar Sport di provincia. E neppure di primissimo livello. Premessa. La direzione di Monaco è stata pacchiana, priva di qualsiasi buon senso e chiaramente fuori giri. Nel metro adottato prima ancora che nell’applicazione del regolamento (alcuni dei fischi contestati presi singolarmente sarebbero anche corretti). Ma la giornataccia del molisano non può giustificare la gazzarra indegna vista prima sul campo e le spericolate ipotesi cospiratorie ascoltate poi nel post partita. Roba che neanche “Il tifoso, l’arbitro e il calciatore”. Con licenza parlando. Verso la pellicola di Pingitore, s’intende.
A Lecco–Pro Patria avevamo chiesto il sangue. In senso figurato, ovviamente. L’abbiamo avuto. In senso figurato e (a quanto si capisce), anche in senso stretto. Emorragia figlia di una gara caricata di significati che vanno al di là della stretta contingenza. Quanto la formazione bluceleste ne sia stata causa o (al contrario), ne abbia patito gli effetti è dubbio che può essere sciolto solo dai protagonisti. Quindi, meglio astenersi. La truculenta Yawar Fiesta messa in scena ieri sotto il Resegone è però uno spettacolo di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. Pari (forse) solo al capolavoro di Bernardoni nel 3-2 pulp di Lumezzane del 24 novembre 2002. Allora i tigrotti erano dalla parte sbagliata delle intemperanze e del risultato finale. Questa volta no. Insomma, si pensa sempre di aver visto tutto. E invece, c’è ancora qualcosa da imparare.
Ma passi per perdere la brocca sul campo. Succede. Quando i nervi trascendono l’agonismo. Diverso è se la cosiddetta pancia diventa anche l’incauto suggeritore delle dichiarazioni ufficiali (cioè, espresse davanti ad un microfono e senza nessuna richiesta di non divulgazione), rilasciate in sala stampa a fatti avvenuti e a mente (si fa per dire) fredda. Arbitro corrotto, pagato dalla Pro Patria; campionati vinti solo da chi non paga i giocatori; gare rubate; telefonate da fare a qualcuno che rimanderebbe sempre l’arbitro in questione in Terza Categoria. Tutti virgolettati farina del sacco non del più esasperato dei tifosi lecchesi. Ma del presidente Paolo Di Nunno. Con buona pace della platea locale. E per fortuna che Patrizia Testa prima e Javorcic poi, hanno dimostrato spessore e aplomb degni di ben altre cause. Altrimenti (chissà), non sarebbero volati solo gli stracci. Anche se in giornata è giunta la promessa di azioni legali a tutela.
Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo. Banale persino sottolinearlo. La storia biancoblu (più o meno recente) è lì a farne testimonianza. Purtroppo, in maniera esemplare. Perché quando qualcuno a Busto ha tramato fuori dal campo, l’ha fatto (ahinoi), a danno del club. Non certo a favore. Eredità di cui l’attuale società di via Cà Bianca ha pagato salatamente le conseguenze (sostanziali e d’immagine), sino all’altro ieri. Nell’intemerata del numero uno lariano ha avuto spazio però anche un vaticinio. Rivolto beffardamente a Ivan Drago: “Tanto domenica perderai con il Rezzato”. Tra sette giorni scopriremo se il Di Nunno oracolo è migliore del Di Nunno inquisitore.
Giovanni Castiglioni
(foto di Giovanni Garavaglia tratta da Facebook Aurora Pro Patria Official)