Se sei nato dopo il 1980 e ami la musica, allora devi chiedere chi erano i Beatles. Allo stesso modo se ami la pallacanestro, in particolare la Pallacanestro Varese, allora devi assolutamente chiedere chi era Charlie Yelverton. Anzi il grande, l’immenso Charlie Yelverton che tra pochi giorni, per la precisione il 5 dicembre, compirà 70 anni e, a mio modesto parere, nella pur  sterminata tavolozza dei giocatori stranieri occupa un posto di rilievo assoluto, certamente tra i primi 5 nella gloriosa storia biancorossa.

YELVERTON  FOTO  3E’ difficile spiegare agli appassionati nati post-1980 che tipo di giocatore è stato Charlie. E’ difficile spiegare a chi è nato con gli occhi pieni di NBA che Yelverton è stato, per tutti i tifosi italiani, la prima vera guardia ex-Pro arrivata in Italia. In un basket italiano in cui il 99% delle squadre, dovendo scegliere il giocatore straniero – nel 1974 ne era permesso 1 solo per squadra; 2 per i club che partecipavano alle Coppe ma, appunto, il secondo poteva giocare solo in quei tornei -, si affidavano ai lunghi, quella di Yelverton (e qualche anno prima di Manuel Raga) fu una scelta dirompente, controcorrente, decisamente unica. Una scelta frutto dell’intelligenza, del fiuto, della profonda conoscenza tecnica e del coraggio di coach Sandro Gamba, l’allenatore dell’Ignis Varese che ebbe l’intuizione di portarlo in Italia. Così, in compagnia dell’ex coach della Ignis-MobilGirgi e anche della Nazionale Italiana, di Marino Zanatta, suo ex-compagno di squadra a Varese; di Carlo Colombo, coach della MobilGirgi vincitrice dello scudetto 1978 e di Ezio Vaghi, presidente della Robur Saronno, club in cui Charlie chiuse la carriera da giocatore iniziando quella di buonissimo coach, proverò a spiegare chi è stato il carissimo, strepitoso Charlie Sax, personaggio amato da tutti per la sua incredibile, prorompente carica umana.

Quindi, adesso, se volete  toccare sulla fronte il tempo che passa volando, se volete ascoltare non solo per gioco il passo di mille pensieri; se volete, dicevo, potete tranquillamente chiedere: “Ma chi era mai, ‘sto Charlie Yelverton?” perchè, forse, è la mia speranza, qualche risposta la troverete.

YELVERTON  FOTO 7COACH GAMBA – “Nella tarda primavera del 1974 sfidando la piazza di Varese e – ricorda Gamba – scatenando la rabbia di decine di tifosi inferociti nei miei confronti decido, per diversi, numerosi e ragionati motivi, di tagliare un “idolo” come Manuel Raga. A quel punto, si rende necessaria la sostituzione del messicano e dal mio punto di vista solo gli USA possono offrire un parco giocatori in cui pescare un asso che possa fare al caso nostro. Arrivato a New York incontro Richard Kaner, allora indiscusso numero 1 dei procuratori con mandati tra USA e Europa, gli spiego cosa vado cercando e gli chiedo aiuto. Kaner mi indirizza subito verso una Summer League nel New Jersey e mi consiglia di dare un occhio a tale Charly Yelverton dicendomi semplicemente: “Guardalo e non fartelo scappare perchè un giocatore fantastico”. Incuriosito vado sul posto e mi trovo di fronte ad una guardia alta 190 cm, dotata di atletismo e reattività fisica spaventosi, ball-handling incantevole, fondamentali sopraffini e tante altre belle qualità. Dieci minuti di partitella mi bastano per esclamare: “Quello è il mio uomo!” e dopo aver scambiato quattro chiacchiere per fare la sua conoscenza raggiungiamo un accordo: Yelverton sarà il nostro straniero di Coppa Campioni e giocherà in coppia con Bob Morse”.

YELVERTON  FOTO  6Scelta felice considerando l’esito della massima competizione continentale.
“Felicissima, direi soprattutto perchè Yelverton – risponde sollecito Gamba – potendo giocare solo in Coppa ci dà una mano incredibile durante gli allenamenti che, con tanti campioni a disposizione, diventano spettacolari. La sua straordinaria presenza alza di almeno tre tacche il livello fisico e tecnico tant’è vero che raggiungiamo la finalissima di Anversa con un percorso netto – 12 vittorie su 12 gare – e, nell’atto conclusivo, noi privi di Dino Meneghin, Yelverton pur con soli 10 punti a referto si merita la palma del migliore in campo per quello che riesce a fare in difesa. Charlie infatti marca almeno quattro ruoli, recupera palloni, aiuta su tutti i compagni, rifila stoppate, prende rimbalzi, smazza assist. Insomma, è semplicemente l’uomo-ovunque che, in un ruolo diverso, riempie nel migliore dei modi il buco lasciato da “Dino, Dino””.

YELVERTON  FOTO 9Lei e Charlie, oltre alla pallacanestro, avevate anche un altro tratto in comune…
“Esatto, ci univa allora, e ancora di più oggi, il grande amore per la musica jazz. Al suo arrivo in Italia vedo che Charlie ha con sé una strana custodia nera all’interno della quale, mi spiega, c’è il suo sassofono. Dopo qualche giorno, parlando del più e del meno ricadiamo sull’argomento musica e Charlie, col poco italiano appena imparato usando il verbo to-play che significa giocare ma anche suonare mi rende noto che: “Coach, io “gioca” col sassofono e “gioca” musica jazz”. Allora lo correggo e gli dico: “No, Charly, tu giochi a basket, ma suoni il sassofono”. Scopro così che Yelverton è un eccellente sassofonista, che il suo strumento gli è stato regalato nientemeno che da Lew Alcindor, alias Kareem Abudul Jabbar in persona, ed è in grado di esibirsi in un vasto repertorio jazzistico. Charlie, in verità, dimostra un certo stupore nel constatare che anch’io capisco e conosco qualcosa di jazz e, comunque, nelle lunghe trasferte in giro per l’Europa le nostre chiacchierate su jazz e dintorni diventano qualcosa di gradevole e via via irrinunciabile”.

Che cosa l’ha colpita di più del giocatore Yelverton? E dell’uomo?
“Come giocatore, ne ho già fatto accenno, Charlie era atleticamente favoloso e tecnicamente completissimo. In palestra era un lavoratore instancabile e nei giorni in cui facevamo due allenamenti – mattino e pomeriggio -, si alzava alle 7, andava a correre da solo per un paio d’ore su è giù per i prati del Golf Club di Luvinate e arrivava al palazzetto pronto per fare altre due di allenamento di pallacanestro. Nella mia carriera, di tipi così, ne ho visti davvero pochini. Per dire del suo atletismo: ricordo che in pre-stagione, nel famoso torneo Battilani a Bologna, gli vidi fare per la prima volta in vita mia un movimento incredibile per quei tempi: schiacciata al volo su rimbalzo offensivo in testa a Serafini (pivot di 210 cm, ndr) e contrastato da Mc Millen (ala di 206). Tutti quanti, allenatori, giocatori, persino gli arbitri, il pubblico del Madison di via Azzarita, paralizzati per  quello che avevamo appena assistito, ci fermammo di colpo per diversi interminabili secondi, quasi volessimo un replay per capire meglio quanto era accaduto. Poi, presa coscienza di aver visto un gesto unico nel suo genere, il PalaDozza esplose in un applaudo da brividi. Come uomo, infine, posso spendere solo parole al miele per un “mio ragazzo” sempre educato, gentile, sorridente, disponibile e soprattutto generoso. Ancora oggi, nelle rare volte in cui ci incrociamo, si rivolge a me con un affettuosissimo “Hi Dad! (Ciao papà) e mi abbraccia con grande calore e trasporto. Credo si senta riconoscente per il fatto che sia stato io a sceglierlo e a portarlo in Italia offrendogli un’alternativa alla vita, non proprio tutta rose e fiori, che conduceva a New York”.

YELVERTON  12Lei ha dichiarato più volte che Yelverton rientra nella speciale classifica dei migliori stranieri ogni tempo approdati nel nostro paese.
“Riconfermo quello che ho avuto modo di dire in molteplici occasioni: Yelverton è stato, e sempre sarà, uno dei migliori perchè, stiamo parlando dei primi anni ’70, ha fatto capire a tutto il mondo della pallacanestro come erano fatti, e quanto erano forti, i “piccoli” che giocavano nella NBA. Quindi, a suo modo, è stato un pioniere, un innovatore, uno che ha aperto una strada tecnica sulla quale si sono poi avventurati e gettati tanti allenatori e general manager”.

Massimo Turconi