“Yelverton? A mio parere la miglior guardia vista in Europa nel decennio 1970-1980. Almeno tre piste davanti a tutti…”. Così si esprime, con un giudizio ultimativo e totalmente condivisibile, Carlo Colombo, assistente di coach Nico Messina nella stagione 1977-1978, quella che consegnò alla MobilGirgi Pallacanestro Varese la gioia del nono scudetto.
“Le motivazioni del mio “Oscar” a Charlie? Semplici – risponde Colombo -. Nel periodo citato non ho mai visto un altro giocatore come Yelverton. Uno con le stesse caratteristiche fisiche, atletiche e tecniche, la duttilità tattica, l’abilità nell’adattarsi a tutti i quintetti, nostri e avversari ma, più di tutto, con la sua incredibile capacità di essere decisivo in attacco come in difesa. Charlie poteva vincere le partite sfoderando numeri di altissima scuola, oggettivamente mai visti prima, sul fronte offensivo, ma poteva anche chiudere la gara con pochi punti a referto avendo però sistematicamente annullato i più velenosi attaccanti avversari. Oppure, opzione C, quella che noi ovviamente gradivamo di più, facendo benissimo entrambe le cose”.

Pallacanestro Varese yelverton 77-78Quante “opzioni C” ricordi di quell’anno comunque memorabile?
“Bhe, potrei citare innumerevoli partite singole, una per tutte quella giocata e vinta al PalaLido di Milano contro la Xerox in cui, se non ricordo male, Yelverton incendiò lo “score” con una tripla doppia segnando più di trenta punti, catturando una dozzina di rimbalzi e smazzando altrettanti assist. Tuttavia, al di là delle prestazioni individuali, credo che durante la corsa playoff tutti quanti si accorsero davvero di Charlie, toccando con mano la sua grandezza. In quel finale di stagione Yelverton, una gara dopo l’altra, “spiegò” il basket a tutti gli avversari che, malauguratamente, si trovarono di fronte a lui. Attacco o difesa, fa lo stesso. In difesa, insieme all’Aldino Ossola, formava la coppia frontale della nostra zona 2-3 che, con quei due satanassi lì davanti, rese complicata la vita a tutti quanti. Aldo e Charlie, grazie alla loro pazzesca velocità di mani e piedi, all’intelligenza e alla coordinazione acquisita nei movimenti, alzavano un muro che orizzontalmente occupava tutto il campo. Qualcuno, scherzando ma non troppo, disse che la nostra MobilGirgi vinceva perché in difesa utilizzavamo la 3-3, mentre un famoso giornalista, a proposito di Charlie scrisse che Yelverton, bravissimo nel toccare, intercettare e rubare tutti i palloni e chiudere tutte le linee di passaggio sembrava fosse la Dea Kalì. In attacco, dopo una lunga serie di ottime partite, toccò il settimo cielo in gara-3 di finale scudetto contro la Virtus Bologna. In quella gara, che potrei raccontare ancora oggi ad occhi chiusi per filo e per segno Yelverton prese un ex-professionista come John Roche, play-guardia della Sinudyne Bologna, lo portò a scuola per tutto il match e, non contento, gli portò via anche il cestino delle merenda con numeri – 35 punti -, e giocate fantastiche”.

Tu allora eri un allenatore giovane, emergente, certamente uno dei migliori della tua generazione: cosa e quanto hai imparato da un giocatore come Charlie?
“Credo che ogni allenatore possa sempre imparare qualcosa dai suoi giocatori, in particolare da quelli più bravi e dotati tecnicamente. Charlie, che come ho già detto rientrava a pieno titolo in questa ristretta cerchia mi ha lasciato, tra i tanti, due insegnamenti fondamentali: un’etica di lavoro pazzesca e la sua cura per la tecnica, in particolare per ball-handling (trattamento di palla ndr) e palleggio. La sua attitudine al lavoro credo sia arcinota a tutti i tifosi varesini che, più e più volte, avranno letto delle corse solitarie di Yelverton sui prati del Golf di Luvinate e degli interminabili giri di pista allo stadio di Masnago. Ma in pochi, fortunati e appassionati, hanno assistito ai suoi esercizi di riscaldamento al Lino Oldrini. Charlie arrivava al palazzetto un’ora prima degli altri e dopo aver fatto stretching piazzava una fila di sedie sul lato lungo del parquet e cominciava a palleggiare su e giù, avanti e indietro tra la sedie cambiando ogni volta il fondamentale di palleggio. Ripeteva questi esercizi tutti giorni con tenacia e ostinazione maniacali. Molto spesso, a giudicare dalle frequenti lamentele degli inquilini che vivevano nel suo stesso palazzo, Charlie palleggiava anche di notte nei corridoi o nei garage facendo rimbombare i muri del caseggiato. Tutto ciò perché convinto, a ragione, che saper maneggiare perfettamente l’attrezzo (il pallone ndr) fosse un’azione imprescindibile per un giocatore. Yelverton quindi, nonostante fosse già un fenomeno, lavorava duramente ogni giorno per migliorare controllo, sensibilità dei polpastrelli, tocco, visione periferica, coordinazione e velocità”.

Quale, infine, il tuo ricordo legato alla persona?
“Ripensando a Charlie, che purtroppo non vedo da qualche tempo, ricordo una delle persone più buone, semplici, generose, affettuose e disponibili mai incontrate nelle mia vita. Un uomo puro, senza filtri, atteggiamenti calcolati o retropensieri. Un  carattere genuino al mille per cento. Insomma – conclude in tono sereno Carlo -, proprio una bella persona”.

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 Massimo Turconi