Tanti chicchi di Chicca. Tante chicche su Chicca.
Chicca all’anagrafe è segnalata come Laura Macchi, ma in verità, da sempre, nessuno la chiama col suo vero nome. Per tutto il mondo, quello normale e quello della pallacanestro lei è semplicemente, universalmente nota come Chicca. Laura un paio di mesi fa ha compiuto 40 anni, portati splendidamente nella vita e, ancora da protagonista importante, anche sul parquet. Il traguardo degli “anta” rappresenta un bel punto da cui partire per raccontare la vicenda agonistica e umana di una giocatrice-simbolo e, non solo, per celebrare e festeggiare in modo degno colei che, per inciso è largamente, e con tante piste di vantaggio sulla seconda, l’atleta varesina più vincente, medagliata, importante e prestigiosa della storia cittadine.
Quanto vincente e prestigiosa, si starà chiedendo qualcuno?
Nel caso di Chicca, dovrebbero bastare i numeri: 9 scudetti, 8 Coppe Italia, 11 Supercoppe Italiane, 1 Eurocup, oltre 600 presenze in serie A con più di 8000 segnati, 41 punti segnati in una singola partita in serie A (contro Vicenza il 20 Novembre 2005), 52 di valutazione (contro Umbertide il 18 Ottobre 2009), 105 presenze in Nazionale con 36 punti segnati contro la Bulgaria nel 2004, record in gara singola per una giocatrice azzurra, 1 Coppa Italia serie A2, 5 titoli MVP italiana Lega Basket Femminile, 1 partecipazione FIBA All Star Game e, per giusto chiudere i conti in modo perfetto: 3 stagioni con le Los Angeles Sparks in WNBA.
E’ sufficiente, ‘sto cursus honorum? Tutta questa gloria ha però un inizio…
“Un inizio del tutto casuale anche perché – racconta Chicca – fino a 11-12 anni della pallacanestro non mi fregava granchè. Mi piacevano nuoto e pallanuoto ed il basket, così come pallavolo, calcio e altri sport, facevano parte dei miei giochi di bimba, ma senza nessun interesse specifico. Tutto ciò, come dicevo, fino a 11 anni, età in cui incontro Betty Lucchini, istruttrice di minibasket che evidentemente tocca le corde giuste e con bravura e pazienza sa trascinarmi sul lato giusto: quello della pallacanestro. Con i primi allenamenti cresce la mia passione per la pallacanestro e giorno dopo giorno, abitando ad Avigno, a 200 metri in linea d’aria con via Pirandello il Campus, conseguenza logica, diventa la mia prima casa. Comunque, la vera scintilla scatta quando, dopo aver perso una partitella di 3 contro 3 in allenamento, mi arrabbio come una tigre e, da quel momento in poi il basket, e vincere, diventano una questione d’onore. Quella sconfitta, che ricordo ancora oggi, inverte completamente il mio approccio verso la pallacanestro che diventa il mio unico pensiero e fa scattare tutta la trafila. Prima cosa: obbligo mio papà Giorgio a piazzare un canestro in cortile e, come narrato in mille vicende di giocatori statunitensi, quel cerchio arancione dentro cui scaraventare un pallone dietro l’altro in tutte le stagioni e in tutte le maniera, si trasforma nel mio compagno inseparabile. Seconda cosa: lo costringo a portarmi a vedere tutte le partite e allenamenti possibili e immaginabili. Terza cosa: stresso tutta la mia famiglia con un argomento monotematico: il basket. Intanto divento sempre più bravina, ovvio effetto secondario di tutto questo “sbattimento”, e Beppe Zanforlin, ottimo allenatore varesino purtroppo prematuramente scomparso, mi vede all’opera al Campus ed essendo coach in una società femminile, Basket Pressing a Rho, in tempo zero mi “scrittura” per le sue squadre e a circa 13 anni inizio ufficialmente la mia carriera da giocatrice “seria” di pallacanestro”.
Fine prima puntata: to be continued…
Massimo Turconi