Tutta colpa, o merito, di Beppe?
Solo merito, certamente. Anzi, va dato atto allo sfortunato “Zanfo” di aver avuto, nel caso della nostra Chicca Macchi, la vista lunga e grande intuito. La carriera infinita e infinitamente bella e soddisfacente di Laura decolla infatti grazie alla bravura di coach Zanforlin che, dopo averla vista correre e saltare sul parquet del Campus, la vuole a tutti i costi con lui all’allora Basket Pressing Rho.

E sono in tanti i tifosi del basket femminile rhodense che si ricordano di quella ragazzina magrissima, lunga lunga, tutta gambe e braccia. Uno splendido fenicottero destinato a segnare un’epoca della pallacanestro tricolore diventandone leggenda.
“Arrivo a Rho nei primi anni ’90 – racconta Macchi – portata in biancorosso da coach Beppe Zanforlin che dopo avermi visto in azione nelle giovanili muove anche le montagne pur di avermi con sé a Rho, club in cui allenava la prima squadra in serie B e un paio di formazioni giovanili. Coach “Zanfo” crede in me al punto che a soli 14 anni, parallelamente ad un impiego massiccio in tutte le categorie giovanili, mi aggrega alla prima squadra e mi fa esordire anche a livello senior”.

Una cosa tutto sommato prevedibile visto che fin da “bimba” portavi addosso le stimmate e il talento della “predestinata”.
“Può essere ma – continua Chicca – posso garantirti che Beppe in quegli anni fa di tutto e lavora come un matto per stimolare le mie qualità. E quando dico di tutto mi riferisco, letteralmente, anche a qualche pedata nel sedere forte e ben assestata. Io infatti, come gran parte delle ragazzine, ho un carattere ribelle e talvolta manifesto in maniera fin troppo evidente la mia insofferenza verso “Zanfo”, i suoi consigli, i suoi ordini durante l’allenamento. Ma Beppe, senza scomporsi, insieme ad un paio di urli agghiaccianti, mi rifila anche alcuni calci in culo. Così, giusto per ricordarmi che il rispetto verso gli adulti e nei riguardi di una figura importante come quella dell’allenatore non deve mai venire meno. Però, oggi posso dirlo in tutta tranquillità, se sono diventata una giocatrice di alto livello è stato anche grazie a quei calcioni, a quelle ramanzine, a quegli urlacci che mi hanno fatto crescere e capire in senso di alcuni miei atteggiamenti profondamente sbagliati. Ma oltre a queste cose “acide”, ricordo con piacere anche le “prediche” che, quasi quotidianamente, Beppe mi elargiva mentre mi riaccompagnava a casa mia a Varese”.

Sotto il profilo agonistico come sono stati i tuoi anni a Rho?
“Ho il ricordo di stagioni molto positive, sia in prima squadra, sia a livello giovanile. Con le senior siamo guidate da un paio di “espertone” tra le quali spicca Mariangela Piancastelli, donna dotata di grande spessore umano e fantastica compagna di squadra, sempre al nostro fianco in equilibrio tra “carezze” e qualche inevitabile cazziatone. Con le giovanili abbiamo un gruppo più che buono con Silvia Gottardi, le sorelle Monticelli, Alice Pedrazzi e siamo abbonate alle Finali Nazionali – ne disputiamo ben 9 tra Allieve, Cadette e Juniores – però, mannaggia, mi resta il rammarico di non averne mai vinta una! Arriviamo sempre lì tra il secondo e il quarto posto, ma alla fine Parma, che fa la parte del leone, si porta via gran parte degli “scudettini””.

Cosa ti resta del periodo rhodense?
“Sulla bilancia restano due sacchi. Nel primo ci metto tutta la fatica e i sacrifici enormi che mi sono messa alle spalle pur di giocare a pallacanestro. Sacrifici davvero grandissimi, per certi versi incredibili, per una ragazzina. Non era facile tornare da scuola, mangiare in fretta un boccone, andare di corsa in stazione a Varese, prendere il treno per Rho, scarpinare fino alla palestra, fare allenamento – tardi, dalle 20.30 alle 22.30 – e dopo una doccia rapidissima, fare ritorno a casa quasi a notte fonda. Tutto questo “programma” per cinque-sei volte la settimana per cinque anni filati. Per riuscirci era necessario, indispensabile, nutrire grandissimo amore per la pallacanestro. Nel secondo sacco metto invece due elementi. Il primo elemento è la favolosa sensazione provata ai tempi, la provo tuttora, nel sapere che tutte le ore che ho dedicato al basket  non sono andate perse. Quelle interminabili, numerose, lunghissime ore che ho dedicato alla palla a spicchi sono servite e mi hanno reso una donna felice e soddisfatta per i traguardi raggiunti. Il secondo elemento è legato alla delicata spensieratezza. Una sensazione che è frutto di anni felici, formativi e molto divertenti. A Rho, devo dirlo, oltre ad aver imparato molto, quasi tutto, mi sono molto, molto divertita insieme ad altre ragazze simpatiche e gradevolissime che, come me, amavano la pallacanestro. Infine, con un groppo alla gola, resta un pizzico di  dispiacere nel sapere che a Rho, e al Molinello che è stato per molto tempo la mia seconda casa, il basket femminile di un certo livello non esiste più da anni. Terribile, quando ci penso”.

 

Fine della seconda puntata: to be continued… 

PARTE 1

Massimo Turconi