Dopo la deludente, se parliamo di risultati, stagione siciliana, “alla Chicca Macchi” non ha viene concesso nemmeno per riflettere perchè il giorno dopo la fine del campionato al cellulare di Laura arriva una telefonata. Importante. La voce all’altro capo del filo è flautata, ma la domanda è di quelle che non ammette repliche: “Allora, pensi che sia arrivato finalmente il momento di venire a giocare per la mia squadra?”. Firmato Marcello Cestaro, presidente del Basket Schio.
“Sapevo che intorno al mio nome c’erano diversi movimenti e “rumours” ma – dice candidamente Laura – non avrei mai pensato ad una chiamata così prestigiosa come quella ricevuta da Schio. Però, la telefonata del dottor Cestaro è così perentoria e allo stesso tempo invitante che, come si usa dire, non si può proprio rifiutare. Così, faccio la valigia in direzione Schio. Ma questa volta preparare valigia e bagagli ha un sapore diverso e un tono speciale perchè a 29 anni, largamente in ritardo sui tempi, inizio la mia prima vera stagione da professionista”.

Come, come? Questa me la devi proprio spiegare.
“Guarda, se ci pensi e rivedi la mia carriera è tutto abbastanza semplice. Parto da Varese da ragazzina e cresco cestisticamente a Rho, a due passi da casa. Poi torno a Varese e da lì, dopo un paio d’anni di maturazione, vado alla Comense a pochi chilometri da casa. In altre parole: vita da professionista, ma ancora circondata da tutti gli agi e le “coccole” di casa mia: sempre a pranzo con i miei famigliari, riposino pomeridiano, vita con le amiche e gli amici di sempre, zero problemi e pochissime preoccupazioni “collaterali”. Poi, prima di scegliere Schio, le due estati trascorse al “Luna Park” di Los Angeles e quella di assoluto relax a Ribera. Insomma, una dozzina d’anni assolutamente divertenti, filati via senza eccessivi pensieri se non l’amore per la pallacanestro ed il piacere di giocare a basket nelle condizioni migliori. Invece, andare a Schio rappresenta una scelta dirompente anche per il mio stile di vita: ho un appartamento tutto per me e, davvero, a 28 anni inizio a badare a me stessa. Ed è anche ora, tra l’altro”.

Impatto con l’ambiente di Schio?
“Professionale e distaccato anche se io, almeno all’inizio, mi faccio notare per un paio dichiarazioni un po’ “pepate”. Appena arrivata a Schio devo scegliere il numero di maglia , la società mi comunica che non può darmi il numero 10 perchè è stato ritirato in onore di Penny Taylor, grande giocatrice australiana che ha fatto le fortune di Schio. Io allora, tanto per fami conoscere, azzardo una temeraria frase che contiene tanta autoironia: “Allora datemi il 20, perchè io sono 2 volte più forte di Taylor”. Dagli sguardi che vedo intorno a me capisco però che la dirigenza di Schio su queste cose non ama scherzare e, con signorilità, un po’ tutti passiamo la mano. Il segnale è però chiaro: a Schio si respira un’aria diversa o almeno, anche per quello che ho appena descritto, io la vivo e la respiro in quel modo lì. Staff tecnico, giocatrici, dirigenti e addetti ai lavori sono tutti presi dalla parte e avverto subito il senso “del lavoro” applicato al giocare a basket. Allenamenti, preparazione atletica, sedute in sala pesi, trasferte in Italia e in Europa, riunione tecniche, eventi legati alla presenza del club sul territorio: la pallacanestro è presente in tutto l’arco della giornata, della settimana, del mese. Non c’è tempo, e se per questo nemmeno la voglia, per cazzeggiare. Il clima in spogliatoio, poi, presenta molte analogie con quello che ho già visto nel mio primo anno in Comense. Le mie nuove compagne non mi filano e capisco al volo che di mezzo c’è un classico rito di “iniziazione”. Però, avendo già più o meno vissuto la situazione a Como, non ne faccio un dramma e semplicemente dico a me stessa: “Tranquilla, passerà”. Infatti, dopo alcuni mesi trascorsi all’insegna di rapporti esclusivamente professionali, è Betta Moro, la capitana, a coinvolgermi e, finalmente, in momento cruciale della stagione mi chiede cosa penso in merito ad alcune situazioni. La domanda di Betta rappresenta il punto di volta e indica chiaramente che il “tempo della quarantena” nei mie confronti è terminato. Da quel momento in avanti sono parte del gruppo e, sottolineo con orgoglio, pure una parte importante, certamente rilevante sia dal punto di vista tecnico, sia umano. Quel “momento” durerà la bellezza di 11 anni, tutti quelli che, molto felicemente, ho passato a Schio in un club prestigioso in cui mi sono messa alla prova con umiltà, impegno e dedizione assoluti. A Schio, pur consapevole del mio valore, ho dovuto mettere da parte tutte le mie vittorie precedenti e dimostrare di avere la forza di ricominciare da zero in una società vincente. A conti fatti, al di là di scudetti e altri trofei vinti, penso, spero di esserci riuscita perchè una cosa è sicura: a Schio, se parliamo di pallacanestro, ho passato i migliori anni della mia vita. Schio, dal punto di vista letterario, è stato davvero il “mio romanzo di formazione” e, aggiungo, di trasformazione perchè sono entrata in biancorossa da ragazza e ne sono uscita donna completa e soddisfatta”.

robe  da  macchi11 stagione racchiuse in un solo attimo: quello fuggente. Cosa scegli?
“Risposta troppo facile: l’attimo che, per contraddirti, non fuggirà mai, mai più dalla mia mente. Mi riferisco al pazzesco canestro vincente, messo a segno a 3 secondi dalla fine in gara-5 di finale scudetto del 2015 contro Ragusa. Sul 66-66 provo una scivolata sulla linea di fondo e con le mani di Pierson addosso mi invento un tiro rovesciato, coefficiente di difficoltà altissimo, che fa “solo rete”. Il PalaCampagnola esplode in un boato incredibile, ma in quell’istante il tempo, anzi, tutto il “mio” tempo da giocatrice si ferma. Cristallizzato in quel gesto. Incredibile. Bellissimo”.

 

Fine della settima puntata: to be continued… 

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Massimo Turconi