Amici di Garbagnate mi hanno raccontato che la corsa di Alessio verso il contropiede, di solito potentissima e infermabile, si è fatta via via leggera diventando quasi impalpabile nei suoi ultimi passi scomposti. Innaturali. Poi, in un ultimo anelito di energia, Alessio ha trovato la forza di sedersi e alzare un braccio alla ricerca di un impossibile aiuto. Queste, così come mi sono state riportate tra dolore, sgomento, incredulità e lacrime, tante lacrime, sono le ultime, tragiche, devastanti istantanee della vita di Alessio Allegri.

Fotogrammi semplicemente crudeli che nel loro susseguirsi fanno rimbalzare nella mia memoria le vicende di altri giocatori di pallacanestro – Davide Ancillotto, Reggie Lewis per tutti – fermati improvvisamente nelle loro armoniche ed eleganti galoppate verso il ferro. Mezze frasi, descrizioni fatte con la voce rotta dalla commozione che, drammaticamente, confermano una frase di Ernest Hemingway: “Così, dunque, si muore tra sospiri che non riesci ad afferrare”.

Così, con un sospiro impercettibilmente strappato con inaudita violenza dal suo petto, è morto dunque il “nostro” Alessio Allegri. Perchè, posso dirlo senza ferire la sensibilità di nessuno? Alessio, oltre che della sua stupenda famiglia, di sua moglie Claudia, di papà Fabrizio, mamma Valeria e suo fratello Matteo, era anche nostro. Un “patrimonio”. Un diamante purissimo. Un tesoro. Una grande ricchezza per tutti noi, e di tutti noi, che amiamo e seguiamo con passione le “minors” lombarde. Alessio, anno dopo anno, nel corso della sua lunga e splendida carriera, campionato dopo campionato, un gradino via l’altro, era diventato un giocatore, anzi, “il” giocatore simbolo delle minori. Il giocatore di tutti, ma proprio tutti quelli che nei campionati regionali lombardi inviano palloni verso un cerchio rosso retinato. Alessio, da tutti amato. Ammirato. Invidiato. Bonariamente invidiato. Desiderato. Richiesto. Citato con orgoglio. Rispettato. E, probabilmente “obtorto collo”, al netto del suo carattere schivo e umile, assurto a stella di prima grandezza delle categorie minori.

Da tantissimi ragazzi in questi anni ho sentito pronunciare frasi di questo tipo: “Ho fatto una grandissima difesa: sono riuscito a tenere un fenomeno come Alessio Allegri a meno di 20 punti segnati”. Oppure: “Abbiamo fatto un’impresa battendo Garbagnate, nonostante dall’altra parte ci fosse Allegri che, come al solito, ci ha sparato in faccia il suo immancabile “trentello”. O ancora: “Garbagnate è già forte di suo, poi con Allegri diventa pure illegale”.
Insomma, Allegri come meritato, assoluto paradigma e punto di riferimento per tutti gli avversari. Allegri come elemento con cui descrivere e declinare tutta la storia dell’OSL Garbagnate.

Esagerazioni? No, semplice e purissima verità, se casomai a qualcuno, davvero distratto, fosse sfuggito il significato di giocatore-bandiera. Giocatore-franchigia che ha speso tutta la sua vita con addosso la maglia biancorossa. Una fedeltà il cui valore è cristallizzato in una frase dei suoi tantissimi tifosi: “Alessio ha inciso sulla pelle il glorioso marchio OSL“.
Inciso con tale sconfinato orgoglio da fargli cortesemente declinare le decine di offerte provenienti da club di DNB, C1, C2 e D che puntualmente, ogni estate, arrivavano al suo cellulare o a quello dei suoi dirigenti. Offerte cui Alessio, ragazzo timido e riservato, rispondeva sempre nello stesso modo: “No grazie, resto a Garbagnate. Resto a casa mia. Resto a giocare e fare pallacanestro coi miei amici”.

Altri avrebbero certamente lucrato sugli svariati titoli di capocannoniere, MVP del campionato, MVP dei playoff, Miglior Difensore del girone, Miglior rimbalzista, Miglior Assist Man e così via. Altri. Non lui. Non Alessio. Non il “mio” Alessio Allegri. Non il “mio” Koeman.
Alessio, infatti, era rimasto l’unico giocatore “titolare” delle “mie” squadre iniziali targate OSL. Una squadra della quale frugando fra i ricordi, davvero sparsi, trovo nomi come coach Segarizzi o coach Gandini, Maurizio Musarra, Fabio Sebastio,  Stefano Iannaccio, Daniele Paternollo e tanti altri. Una squadra che ho iniziato a seguire giornalisticamente circa quindici anni fa quando OSL Garbagnate pendolava tra Promozione e serie D ed il club era alla ricerca di una sua collocazione nell’affollato panorama delle minori lombarde.

Uno scenario nel quale Alessio Allegri era già presente e dominante recitando man mano un ruolo sempre più incisivo. Determinante. Decisivo. Un “mare” sul quale Koeman increspava già le onde meravigliando tutti con le sue giocate strepitose e in virtù di una pallacanestro sempre straordinariamente efficace. Dilungarsi sui numeri incredibili prodotti da Alessio richiederebbe pagine e pagine.

Molto meglio, in questo senso, citare la “gaffe” di un notissimo e celebrato allenatore che prima dell’esordio di Alessio in CGold, in tono un po’ tronfio esclamava: “Sono proprio curioso di vedere cosa combinerà Allegri in C1. Certo, ha vinto la classifica dei marcatori in C2, ma la C1 è tutto un altro livello” lasciando intendere che la continua ascesa di Alessio in C1 avrebbe trovato il suo capolinea.
Invece, alla fine del girone d’andata Garbagnate, anche grazie al suo enorme Capitano è tra le prime in classifica e Alessio, ça va sans dire, mette tutti a sedere, fa il gesto di Bati-Gol silenziando gli scettici e chiude largamente primo nella classifica marcatori a quasi 20 di media.

Alessio, in un nostro recentissimo incontro mi aveva confidato: “Sai, forse questo sarà il mio ultimo anno da giocatore perchè le difficoltà e i problemi, in particolare quelli fisici, stanno pericolosamente pareggiando le soddisfazioni. I tempi di recupero tra una partita e l’altra; tra un allenamento e l’altro si dilatano sempre più. Alzarsi e rimettersi in moto al mattino è sempre più duro mentre i dolori muscolari e tendinei si fanno invece sempre più ravvicinati e, come hai già scritto – mi aveva detto ridendo -, durante la settimana i miei allenatori mi tolgono da una campana di vetro e mi trattano come una reliquia. Insomma, comincio ad essere un po’ stanco della “routine” e, non di meno, alla mia età sarebbe il caso di lasciare spazio ai nostri giovani che, sai già anche questo, cominciano a trovare spazio e tengono sempre meglio il campo. Infine, essendo forse vicino al fatidico momento del chiodo nel muro, vorrei iniziare a pensare seriamente alla mia seconda vita. Quella da allenatore. Ovviamente qui in OSL dove, già sai, ho iniziato a seguire una bellissima squadra di ragazze che partecipano al campionato Under 14. Voglio capire se sono tagliato per il mestiere di allenatore, soprattutto, voglio capire se stare in palestra ad insegnare pallacanestro mi piace davvero. Però, ti prego, non scrivere ancora questi pensieri. Quando sarà il momento, se sarà il momento, te lo farò sapere”.

Ho rispettato il pensiero di Alessio, la sua richiesta e non ho mai scritto queste parole, forse profetiche, con le quali, giustamente, in maniera profondamente umana, Allegri spingeva lo sguardo avanti verso un futuro, anche da prossimo papà, che sognava radioso, brillante, pieno di luce e di successo.
Adesso dentro di noi c’è solo un cupo, grandissimo, disarmante dolore e una sola tremenda domanda per la quale non troveremo mai risposta: “Perchè?”. E, nessuno me ne voglia, questa volta la retorica, davvero fastidiosa, di Alessio che, d’ora in avanti giocherà a pallacanestro con gli angeli, non mi basta. Non può bastare. Perchè Alessio lo volevamo qui. A giocare con noi. Per tanto, tanto tempo ancora.

Il funerale di “Koeman” sarà domani mattina alle ore 9.30 in Basilica SS. Eusebio e Maccabei a Garbagnate.

Massimo Turconi