Sara, questo il nome di fantasia che abbiamo scelto per raccontare la storia di un’infermiera trentenne che, come tante, ha scelto di entrare a far parte della “task force” per combattere in prima linea il Coronavirus. Da un reparto normale a quello Covid-19, perché questa scelta? “Perchè sono un’infermiera e il nostro obiettivo è aiutare chi sta male. In questo momento tante persone stanno soffrendo e non rispondere alla chiamata mi sembrava un venir meno al mio dovere, non rispettare il mio lavoro, la mia professione, né me stessa”.

La tua famiglia come ha preso questa tua decisione? “Chi non fa questo lavoro difficilmente può capire, lo vedono come un grande rischio, invece io mi sento più sicura perché siamo dotati di tutti i dispositivi di protezione necessari. Indossiamo guanti, mascherine, occhiali, cuffia, camice e copri scarpe. Materiale che comunque cambiamo anche durante lo stesso turno.  Alla fine anche la mia famiglia ha appoggiato la mia decisione, quella di esserci. Vivo a pochi chilometri dai miei genitori, ma è oramai da tempo che, contro la loro volontà, mi rifiuto di vederli. Preferisco così. Stanno bene, ma sono comunque anziani, e li proteggo in questo modo”.

Di quanti malati ti occupi? “Nel nostro reparto ci sono circa una quindicina di posti letto, ma è diverso rispetto alla terapia intensiva. Ci occupiamo di chi ha già superato il peggio e tuttavia è ancora positivo”.

Tanti medici e sanitari hanno pagato con la vita… “Lo sappiamo ed è scandaloso. Tanti colleghi hanno lavorato sino all’ultimo senza i mezzi adatti. Purtroppo in molti si sono ammalati prima ancora che si sapesse dell’arrivo del virus nel nostro paese. All’inizio è stato erroneamente sottovalutato, un errore fatale”.

Cosa ti aspetti da questa esperienza? “Sicuramente di crescere umanamente. Il vissuto di questi pazienti ti lascia il segno più di altri. Sanno di aver vinto contro un virus mortale e nei loro sguardi vedo una visione diversa della vita”.

Elisa Cascioli