16 novembre 1969, all’uscita degli spogliatoi dello Stadio “Franco Ossola” di Varese, un piccolo tifoso biancorosso stringe la mano della sua mamma. Si chiama Carlo Colombo, ha appena nove anni ed è venuto fino a lì da Tradate per vedere i suoi eroi. I chilometri sparsi nella provincia non lo hanno convinto a rinunciare alla partita, nemmeno stavolta. In effetti, pur così giovane, può vantare una già più che discreta esperienza sugli spalti di Masnago.

Ha visto “almeno quattro partite del campionato 66/67. Quasi tutte le partite casalinghe dello storico campionato 67/68, tra cui l’indimenticabile “partita del secolo” con la Juventus e Varese-Torino con il pubblico in campo“. E suo malgrado è stato testimone oculare anche “dello sciagurato campionato 68/69, quello della retrocessione in B e l’ umiliante sconfitta 1-6 con il Cagliari con tripletta di Riva“. Ma la La prima volta, quella non si scorda mai. “Fu Varese-Catanzaro 2-0 nell’ottobre dell’ormai lontano 1966. Non ricordo chiaramente tutto ciò che accadde quel giorno, ma so per certo che mio papà mi portò in tribuna con lui e per me fu amore a prima vista”.

È in quel momento che lo riconosce e lo segnala quasi con un riflesso incondizionato della propria emozione aggrappandosi con ancor più forza al palmo materno. Ha appena varcato la soglia sul retro della tribuna un giovane con la chioma ancora arruffata dalla doccia post-partita. Conserva ancora quell’adrenalina che lo accomuna al piccolo Carlo, impaziente di avvicinarlo. La stessa indomita sensazione che in campo gli ha permesso di mettere a segno “due gol nel giro di tre minuti!”.

Quel pomeriggio il Varese ospita il Mantova per la 9° giornata del campionato di Serie B. “Allenatore: il grande Nils Liedholm”, scandisce Carlo come a recitare un’allegra filastrocca, mentre ripete nelle propria mente tutta la formazione. Sì, sulla panchina biancorossa c’è proprio lo stesso svedese che “se la palla l’abbiamo noi, gli altri non possono segnare”. Con la sua fantasia, fino a pochi anni prima, ha illuminato il rettangolo di gioco di San Siro e appesi gli scarpini al chiodo si è seduto sulla panchina rossonera, come in un naturale passaggio di consegne. Poi Hellas Verona, Monza, prima del Varese. Il “Barone” crede fermamente in quel diciottenne torinese, in prestito dalla Juventus, che ha già avuto modo di mettersi in mostra qualche settimana prima, con un gol al Perugia. E allora perché non schierarlo fin dal primo minuto in una partita così importante? Il giovanissimo lo ripaga e, con la strada spianata da un gol di Tamborini in avvio, mette in ghiaccio il successo con una doppietta nello spazio di tre giri di lancette. È 3-0, ma sarà solo l’inizio. “Quell’anno fu addirittura capocannoniere del torneo con 13 gol alla sua prima stagione in biancorosso”, ricorda Carlo.

La stampa vuole solo lui, con quel piccolo segno di canizie sulla chioma, ad aumentarne l’esperienza. Il pubblico sugli spalti lo battezza come uomo chiave per la risalita dei giganti dalla serie cadetta alla massima lega calcistica italiana che ancora desiderosa di apprezzare le loro gesta. Il piccolo Carlo regge in mano un quadernetto, lo custodisce sin da quando è uscito di casa perché è lì che ha imparato a conservare i ricordi più belli del suo sport preferito. Ha già architettato lo spazio che avrebbe occupato la sigla del suo campione tra i suoi primi cimeli calcistici. Manca il tocco finale, ma lui sa già a chi affidare l’ultima pennellata di quel ritratto di passione.

A vincere l’imbarazzo di quel momento fu mia mamma – sorride Carlo -. Chiese lei il permesso per aver l’autografo alla sua” la mamma del goleador biancorosso che condivideva con il nostro Carlo lo stesso tenero impaccio, di essere per la prima volta al centro dell’attenzione. Prende il foglietto in una mano e con la penna nell’altra scrive: Roberto Bettega.

Alessio Colombo